martedì 4 febbraio 2014

LA FINE DEL MONDO E" QUESTA CRIMINALI CHE GESTISCONO IL PIANETA DISTRUGGENDONE LA VITA E LE RISORSE

Il disastro ambientale di cui non si parla

16 Luglio 2013Scritto da  Enrico Carotenuto
Da anni è in corso un disastro ambientale su scala inaudita, che peggiora di anno in anno, ma di cui non si parla sui media. Sicuramente non sui media italiani, e pochissimo su quelli internazionali: l'estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose. Una maniera di ricavare petrolio disastrosa per l'ambiente, sotto ogni punto di vista.
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7 compagnie petrolifere sono al momento impegnate in questo tipo di attività estrattiva in Canada, tra queste anche la nostra ENI. Cosa fanno? Inquinano miliardi di tonnellate di acqua (7 barili d'acqua per ogni barile di petrolio), rilasciano gas tossici e allarmanti livelli di CO2, e lasciano enormi pozze di residui altamente tossici, che sterminano la fauna e filtrano nelle falde acquifere e nei fiumi, andando ad inquinare ovunque, non solo nell'area (enorme) di estrazione. Infine, il petrolio derivante dalla lavorazione deve essere ulteriormente raffinato e lascia uno scarto di coke-petrolio super tossico, che deve essere bruciato, e solo pochi paesi permettono di bruciarlo sul proprio territorio, proprio perchè devastante.
L'Unione Europea voleva porre una forte regolamentazione sull'uso in Europa di petrolio fatto in questo modo. Indovinate chi ha bloccato i lavori per approvare una simile legge?Indovinato: l'Italia. 
Infatti l'ENI, non contenta di radere al suolo il Canada, ha progetti di sfruttamento delle sabbie bituminose del Congo. Sarà per questa cattiveria che il destino ha voluto che una loro piattaforma petrolifera affondasse, ai primi di luglio, proprio in Congo, in 40 metri d'acqua?

Ecco alcuni articoli per capire la gravità del problema. Cerchiamo di diffondere queste notizie il più possibile, visto che i media di regime se ne guardano bene.
Tarsands2Petrolio da sabbie bituminose. Cos'è e cosa accade quando si estrae
"In Canada si nasconde quella che è considerata la terza riserva di petrolio del pianeta, dopo quelle in Venezuela e Arabia Saudita. Milioni di barili di petrolio pronti ad essere sfruttati, ma con temibili effetti collaterali derivanti dall'estrazione e dalla lavorazione.
È il petrolio da sabbie bituminose il nuovo oro nero. Una riserva che Exxonmobil e BP stimano in circa 170 milioni di barili e che nel 2040 coprirà il 25% della domanda di petrolio del Nord e del Sud America. Una produzione che nel corso dei prossimi due decenni crescerà più del doppio, passando da 1,5 milioni di barili al giorno a 3,7 - 5,4 milioni di barili al giorno.
Cos'è, da dove viene e dove si trova
Tarsands3Il bitume, una sorta di petrolio denso è viscoso, simile nel colore e nell'odore, si trova in natura miscelato in diverse percentuali a sabbia, acqua e argilla. Ci sono due teorie principali che ne spiegano la formazione: una prevede che provenga da petrolio degradato nel tempo da microragnismi fino a trasformarlo in bitume, mentre l'altra prevede che si sia evoluto da enormi giacimenti di scisti bituminosi (una roccia estremamente organica) formatisi durante il Cretacico. Comunque una riserva enorme di carbonio, testimone dell'antica vita sul pianeta.
La maggior parte delle sabbie bituminose del pianeta sono localizzate in una sola regione del Canada, precisamente in Alberta, nell'area dove scorre il fiume Athabasca e nell'area del Cold Lake. Altre riserve si trovano in Russia, Kazakistan e minori in Madagascar.
Come si ricava
Per estrarlo si utilizzano principalmente due metodi, che dipendono dalla profondità a cui si trovano le miniere. Se a cielo aperto, la sabbia viene estratta da escavatori subito al di sotto dello strato di torba dell'area umida circostante. Una volta trasportata viene mescolata ad acqua calda e NaOH (soda caustica) e da qui viene estratto il bitume.
Se sotterraneo, il bitume viene estratto o pompando all'interno del vapore (il cosidetto Cycle Steam Stimulation) o con un sistema denominato SAGD, ovvero drenaggio per gravità assistito dal vapore, dove il vapore, alimentato attraverso condutture sotterranee, permette di liquefare il bitume nelle sabbie circostanti, quando viene rilasciato. I principali elementi utilizzati sono quindi l'acqua e i solventi.
Le conseguenze
Il petrolio viene così estratto utilizzando enormi quantità d'acqua provenienti per la maggior parte dal fiume Athabasca, oltre al fatto che vengono liberati in atmosfera gas ad effetto serra e metalli pesanti come cobalto, nichel, vanadio, piombo, mercurio, cromo e altri.
Secondo i dati forniti da Greenpeace Canada, ma anche da altre associazioni ambientaliste come 350.org e Patagonia, ogni anno il fiume viene depauperato di 370 milioni di metri cubi di acqua, pari al doppio della domanda dell'intera città di Calgary (con una popolazione di circa 1.300.000 individui). Acqua che finisce in vasche di decantazione. Secondo Exxonmobil, il suo utilizzo è stato ridotto del 30%, utilizzando la stessa acqua presente nelle sabbie. (Secondo un rapporto del 2013 del governo canadese, nessuna delle compagnie operanti ha neanche lontanamente raggiunto gli standard d'impatto ambientale prefissati NDR)
Non è l'acqua il solo effetto collaterale. Basta guardare le immagini da satellite (sopra), per vedere che una larghissima fetta di foresta boreale e di aree umide, è stata letteralmente spazzata via. D'altro canto, sempre Exxonmobil, ha previsto la piantumazione di circa 800 mila piante, tra alberi e arbusti, ripristinando un'area di circa 600 mila ettari.
Un'estrazione problematica, tanto da rendere questo petrolio, definito anche "non convenzionale", una risorsa ad alta emissione di CO2. Si calcola che l'anidrice carbonica prodotta ammonti al 20% in più rispetto all'estrazione del petrolio tradizionale."

Presentazione di "Petropolis", documentario del rgista canadese Peter Mettler

Le sabbie bituminose in Europa e gli interessi dell'Eni
Tarsands5"La decisione sul sistema di tracciabilità e di carbon footprint dei carburanti fossili è stata rimandata per approfondire lo studio dei loro impatti. Plaudono le lobby del petrolio, secondo le quali la proposta europea avrebbe avuto "costi amministrativi sproporzionati". Anche se, secondo un report indipendente commissionato da Transport & Environment, la tracciabilità di filiera del carburante fossile costerebbe solo mezzo centesimo in più per un pieno di benzina.
In realtà dietro ad aspetti di natura tecnica si nasconde una battaglia di vitale importanza per il clima e per il futuro energetico dell'Europa: l'ingresso nel continente del petrolio proveniente dalle sabbie bituminose. Una battaglia nella quale fino a ora l'Italia è stata dalla parte delle compagnie petrolifere.
La storia nasce nel 2009 dalla Direttiva Fuel Quality (n. 30/2009), che prescrive per l'Europa un obiettivo sulla CO2 associata ai carburanti: ridurre le emissioni del 10% entro il 2020. Di questo 10%, il 2% dovrebbe essere assolto con progetti realizzati nei Paesi emergenti, partecipando ai CDM - Clean Development Mechanism - del Protocollo di Kyoto e un altro 2% grazie ad attività di CCS - Carbon Capture & Storage. Rimane quindi un 6%; ma per calcolare realisticamente di quanto si è ridotto l'ammontare di CO2 servirebbe una metodologia appropriata, che dal 2009 non è stata ancora approvata.
Solo a ottobre 2011 la Commissione è arrivata a formulare una proposta di calcoloche prevede un sistema del tutto speculare a quello già in vigore per i biocarburanti, attribuendo, cioè, valori di default per i carburanti.
Secondo questo sistema, il petrolio proveniente dalle sabbie bituminose avrebbe per esempio un quantitativo di CO2 associato superiore del 23% rispetto al petrolio tradizionale, determinando un probabile differenziale di prezzo tra petrolio tradizionale e petrolio "pesante".
Non a caso il Governo canadese sta portando avanti determinate azioni di lobbyinga livello europeo e in singoli Stati, Italia compresa. La Canadian Association of Petrolium Producers (CAPP) ha organizzato diversi incontri presso ambasciate europee. "Con l'eccezione dell'Italia, tutti gli incontri a cui abbiamo partecipato si svolgono su base regolare" – ha dichiarato Davies, portavoce della CAPP. Sembra quindi che quello italiano sia stato proprio un incontro ad hoc per parlare della Fossil Fuel Directive e delle sabbie bituminose. Inoltre, presso la sede romana dell'Ambasciata canadese si è anche svolto il convegno "Energia sicura e responsabile: Canada-Italia a confronto", in cui si presentava il petrolio da sabbie bituminose come "un'energia pulita e sicura".
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L'Italia, attraverso il Ministero dell'Ambiente, ha mostrato di essere contraria alla proposta europea. Infatti il 23 febbraio a Bruxelles c'è stata la votazione in Commissione, in cui i tecnici inviati dal Ministero italiano hanno votato contro la proposta di calcolo della UE. Hanno invece indicato un'ulteriore proposta che prevede di spostare l'onere delle attività di reporting sulla Commissione Europea, invece che sulla catena di produzione della raffinazione e distribuzione del petrolio, deresponsabilizzando così le compagnie petrolifere. La controproposta italiana ha rischiato di far saltare tutto l'iter di approvazione.

Forse perché dietro ci sono notevoli interessi dell'ENI proprio sulle sabbie bituminose? Sappiamo che in Congo c'è già un accordo con il Ministero locale per lo sfruttamento di un'area di 1.790 kmq. In Venezuela l'ENI ha avviato un investimento da 7 miliardi per l'estrazione del petrolio pesante nell'area dell'Orinoco. Infine, la controllata Saipem ha un contratto nel miliardario progetto Horizon Oil Sands per la costruzione di un impianto per l'estrazione del petrolio delle sabbie bituminose canadesi.

Le riserve mondiali di sabbie bituminose secondo l'ENI sono stimate in 1.300 miliardi di barili, considerando che producono il 23% in più di CO2 del petrolio normale, sono in grado di rilasciare circa 3.500 miliardi di tonnellate di CO2: oltre 100 anni di emissioni umane. In un mondo in cui la rivoluzione energetica in corso sta trasformando la produzione di energia orientandola verso le rinnovabili, il petrolio da sabbie bituminose e le altre fonti petrolifere non convenzionali sembrano l'ultimo appiglio dell'industria dell'oro nero per ritardare un inevitabile declino."


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