giovedì 27 febbraio 2014

VIVISEZIONE VERGOGNA DEL GENERE UMANO

[...] Il problema del progressivo incallimento della sensibilità umana, che si riscontra fatalmente in tutti i vivisettori, è un fenomeno estremamente grave. Dato che la vivisezione viene condotta in un numero sempre crescente di paesi — basta pensare alle "nuove repubbliche" del Terzo Mondo, i cui docenti di fisiologia, istruiti in Europa e in America, ripetono gli esperimenti di Claude Bernard e compagni — cresce costantemente il numero degli individui condizionati alla tortura sistematica, a sprezzare le sofferenze altrui, e a compiere atti d'inconcepibile crudeltà come la cosa più naturale del mondo ; e l'esperienza dimostra che le vittime non sono sempre soltanto animali.

L'inumanità — o schizofrenia che dir si voglia — dei vivisettori è dimostrata anche dal modo di esprimersi nelle loro relazioni "scientifiche".

___(..)___

Già nel marzo 1932 si poteva leggere su Medical Times: «Il danno morale che causa la vivisezione non è soltanto generale ma anche individuale. Qual è fatalmente l'effetto sulla morale dello studente di medicina?...
Non sarebbe difficile portare esempi che illustrano come la vivisezione fa degenerare il senso morale dei vivisettori». Vedi qui:
LA DISUMANIZZAZIONE

«Il fisiologo non è un uomo di mondo, è uno scienziato, è un uomo afferrato e assorbito da un'idea scientifica che egli insegue: non ode più i gridi degli animali, non vede più il sangue che scorre, non vede altro che la sua idea, scorge soltanto organismi che gli nascondono problemi che egli vorrebbe scoprire. Non sente che è in un carnaio orribile; sotto l'influenza di un'idea scientifica, insegue con delizia un filetto nervoso nelle carni fetenti e livide che per qualsiasi altro uomo sarebbero un oggetto di disgusto e d'orrore...» (Claude Bernard, Introduction, p. 154.)
Se fosse vissuto nella nostra epoca freudiana, Claude Bernard si sarebbe certamente ben guardato dal pubblicare questa perfetta descrizione di una grave forma di schizofrenia. Il campo della psichiatria essendo quasi altrettanto aleatorio quanto quello dell'attuale scienza medica, non si può tracciare sempre una linea precisa di demarcazione tra il sadismo e quella schizofrenia paranoica da cui probabilmente nessun vivisettore è completamente esente.

Comunque ascoltiamo qualche altro di questi, per mostrare che Claude Bernard non era un caso isolato, ma tipico. Il suo illustre allievo Elia Cyon aveva scritto in Methodik der Vivisectionen:
«Il vivisettore deve avvicinarsi alla vivisezione con un senso di eccitazione gioiosa».

Nessuna persona sana di mente avrà difficoltà a trovare un termine preciso per definire l'«eccitazione gioiosa» con la quale quel famoso fisiologo russo evidentemente si avvicinava, bisturi alla mano, agli animali trepidanti, saldamente legati al tavolo di Czermack.

Poi, E. E. Slosson, professore di chimica all'Università del Wyoming, in un articolo intitolato Il valore relativo della vita e del sapere, su The Independent di New York (12-12-1895):
«Una vita umana non è nulla in paragone a un nuovo dato di fatto. Lo scopo della scienza è il progresso del sapere umano a qualsiasi costo di vite umane (...at any sacrifice of human life). Noi non conosciamo un uso più nobile di gatti e cavie che sacrificarli per la scienza, né conosciamo un uso più nobile che si potrebbe fare di un uomo».
Dunque ancora un vivisettore che considera il valore di una vita umana — tranne, beninteso, la propria — come del tutto secondario rispetto a un qualsiasi nuovo dato di fatto.
Ora ascoltiamone un altro, il prof. Walter Meek: «L'agonia più spaventosa inflitta a un numero infinito di animali è giustificata se, nell'opinione anche del più oscuro membro di una facoltà di medicina, esiste la più tenue probabilità di aggiungere un qualsiasi dato alla somma di conoscenze umane, senza che importi sapere se ciò avrà un qualsiasi valore pratico».

Parole di un malato mentale? È evidente. Senonché questo malato era allora titolare della cattedra di Ricerche Biologiche all’Università del Wisconsin, e la sua dichiarazione era stata fatta in veste ufficiale nel 1952 dinanzi a un comitato senatoriale a Madison, capitale del Wisconsin, che doveva decidere se gli accalappiacani potessero cedere i cani randagi ai laboratori.

E il prof. Ludimar Hermann dell'Università di Zurigo: «Il progresso del sapere e non l'utilità della medicina è il vero obiettivo della vivisezione. Nessun autentico ricercatore pensa all'utilizzazione pratica. La scienza può permettersi di fare a meno delle giustificazioni con cui la vivisezione è costretta a difendersi in Inghilterra».

Ora un esempio... burocratico della disumanizzazione creata dalla mentalità vivisezionista: passaggi di lettere appartenenti agli atti del processo di Norimberga, indirizzate dalla più grande impresa chimico-farmaceutica tedesca, IG Farbenindustrie, alla direzione del Lager di Auschwitz durante la seconda Guerra mondiale. (Frankfurter Rundschau, 10-2-1956):
«Per esperimenti con un nuovo sonnifero Vi saremmo grati se ci poteste fornire un certo numero di donne...»
«Troviamo esagerato il prezzo di 200 marchi per donna. Vi proponiamo un prezzo massimo di 170 marchi. Ce ne servono circa 150.»
«Le 150 donne sono arrivate. Sebbene il loro stato di salute sia alquanto precario, abbiamo deciso di considerarlo sufficiente. Vi terremo informati in merito ai nostri esperimenti.»
«Gli esperimenti sono stati compiuti. Tutte le partecipanti sono decedute. Tra breve vi scriveremo in merito a una nuova fornitura.»

Finita la seconda guerra mondiale gli sperimentatori si riversano con rinnovato entusiasmo sugli animali (mentre estendono negli ospedali le prove sugli uomini), ed esce il moderno classico della vivisezione, il manuale di Markowitz, in cui si legge che «sarebbe un esercizio interessante togliere entrambi i reni a un cane e tre giorni dopo, quando è in punto di morte, trapiantargli nel collo il rene di un altro cane» (p. 446). E poi nell'epilogo: «Nessuno studio potrebbe dimostrarsi più affascinante e soddisfacente, e allo stesso tempo lucrativo» (p. 532).

Da quando finanche l'insegnamento della psicologia ha voluto includere torture di animali, i quali vengono di solito portati alla pazzia mediante scosse elettriche, spaventi o privazioni varie, il miasma della disumanizzazione sta infettando anche quei dottori dai quali gli individui di precario equilibrio mentale attendono aiuto, e nessuno sembra avvedersi del pericolo di questo stato di cose.
Nel già menzionato Nuovi orizzonti in psichiatria, il prof. Peter Hays scrive: «Il vaglio di nuove sostanze mediante prove su animali è attualmente alquanto primitivo, nonostante l'eleganza degli esperimenti stessi» (p. 103). Per gli "scienziati" di oggi il termine "eleganza" deve avere un significato diverso che non per i comuni mortali.
E per concludere ancora alcune elucubrazioni del filosofo vivisettore Robert White, sul già citato numero di American Scholar: «Io credo che l'inclusione di animali inferiori nel nostro sistema etico sia filosoficamente insensata e operazionalmente impossibile, per cui teoria e pratica antivivisezioniste non hanno alcuna base morale o etica...» E più in là: «La preoccupazione per le pretese sofferenze degli animali impiegati nella ricerca medica potrebbe rappresentare una vera aberrazione psichiatrica...»
Poi a conclusione del dibattito : « Sia la dottoressa Roberts che io dovremmo presentare ai lettori di questo giornale le nostre scuse per avere occupato tante pagine a discutere su un soggetto che al giorno d'oggi ha così scarsa importanza». (Ossia la liceità o meno di torturare, N. d. A.)

Immaginarsi le conseguenze degli insegnamenti di simili "scienziati" sulle nuove generazioni di allievi...

Anche senza conoscere Freud, tutte le persone che in vari paesi leggevano per la prima volta tutta una fila di relazioni di esperimenti, non hanno potuto esimersi prima o poi dall'esclamare: «Ma questi uomini sono pazzi!» Una ha detto: «L'impressione principale è quella di stupidità».

Nel linguaggio degli psichiatri, il termine "pazzia" non esiste, come non esistono "disumanizzazione" né "stupidità"; ma per i comuni mortali sì.

E qualunque sia il termine che si voglia usare, è evidente che la maggioranza dei vivisettori sono mentalmente menomati. Secondo il filosofo austriaco Johannes Ude, «il vivisettore è un individuo moralmente sottosviluppato, con tendenze patologiche».
Già molti anni prima di Ude, il titolare di una rubrica di medicina, che si firmava "Medicus", aveva scritto sul grande quotidiano americano Daily Mirror (27-8-1928): «Quelli che incrudeliscono contro gli animali devono essere dei malati mentali, che dovremmo rinchiudere in qualche Casa di cura».

Ciò che già altri hanno rilevato, io l'ho constatato personalmente varie volte: quando un vivisettore, all'apparenza perfettamente normale, si avvede che il suo interlocutore è un antivivisezionista inquirente, la sua voce si altera, può cadere in preda ad una collera incontrollabile, mettersi a tremare, a balbettare, manifesta comunque profondi turbamenti psichici, appunto come ogni schizofrenico il cui Id viene contrastato, o come ogni squilibrato che venga accusato in faccia di pazzia.

Mi accadde tra l'altro di recente col professore universitario zurighese Konrad Akert, che alla mia cortese richiesta telefonica di un'intervista mi coprì di contumelie e poi staccò la comunicazione, né rispose alle mie lettere in cui gli ripetevo le domande. Né ottenni soddisfazione dal rettore dell'Università di Zurigo, un biologo.

Il 23-10-1973 il quotidiano zurighese Neue Zürcher Zeitung riferiva di un simposio varato da un'altisonante «Fondazione per le ricerche fondamentali di scienze umane», cui convennero «scienziati della natura e del pensiero, di direzioni diverse».

Per i neurobiologi prese la parola proprio il prof. Konrad Akert, sperimentatore sui cervelli di ratti, gatti, scimmie. Ecco come Neue Zürcher Zeitung riportò il pensiero espresso in tale oc- casione da questo "scienziato" zurighese:
«È importante che l'uomo conosca meglio l'estensione e i limiti del palcoscenico sul quale si svolge il dramma umano prima che ci mettiamo a sviluppare nuove ideologie, filosofie ed etiche»
Dunque il prof. Akert, che all'Università di Zurigo contribuisce a formare gli scienziati di domani, consiglia di non lasciarsi attardare da una qualsiasi ideologia, filosofia o etica, e considera preferibile dedicarsi allo studio del cervello animale, mediante i soliti esperimenti, che peraltro anche a lui non hanno insegnato nulla sull'uomo, poiché il suo ragionamento continuava cosi:
«La moderna ricerca sul cervello tenta di portare un contributo a quanto sopra, indagando sulla struttura e funzione del cervello. Poiché deve lavorare sul cervello vivo — quello morto già lo conosciamo, e non ci ha portato avanti — la moderna ricerca deve ricorrere alla sperimentazione animale. Da ciò risulta un continuo imbarazzo, poiché non è possibile estrapolare direttamente all'uomo esperienze fatte con l'animale»

Il già citato resoconto del governo americano dell'inchiesta parlamentare sul trattamento degli animali da laboratorio, contiene il seguente passo (p. 226):
«All'Università di Cornell, ricercatori hanno distrutto il senso della vista, dell'udito e dell'odorato di un gruppo di gatti, e poi per un periodo di dieci anni li hanno sottoposti alle seguenti stimolazioni dolorifiche: a) scosse elettriche inflitte attraverso una grata sul pavimento; b) schiaffi sul muso mediante uno schiacciamosche di plastica; e) strizzamento della coda». (La relazione particolareggiata di questo "esperimento" da parte degli stessi sperimentatori era già apparsa in Archives of Neurology, 1959, vol. 1, p. 203-215.)
Dunque in un famoso ateneo americano, dei gatti sono stati torturati per un periodo di dieci anni dopo che a ognuno di essi erano stati cavati gli occhi e "distrutto" l'interno dell'orecchio e il naso; e ciò da parte di "scienziati" presumibilmente dedicati a "lenire le sofferenze dell'umanità". C'è da meravigliarsi che nel Reparto Pediatrico di questa medesima Università di Cornell, vari nati prematuri (umani) sono stati sottoposti, ad un'età variante tra i cinque e gli otto giorni, a "stimolazioni dolorifiche" da un gruppo di "sperimentatori"?

Il professore di Oxford Richard D. Ryder è singolarmente qualificato per esprimere un giudizio sulla sottocultura dei laboratori, sia perché è psicologo, sia perché ha praticato egli stesso la vivisezione in Inghilterra e negli Stati Uniti. È sua la seguente apologia, nel suo libro recente, Victims of Science, (ed. Davis-Poynter, Londra, 1975, p. 18-19):
«L'importanza del conformismo viene spesso sottovalutata... Uno scienziato giovane e ambizioso non osa contestare le convenzioni; per fare carriera deve conformarsi, per cui deve rapidamente sopprimere il naturale sentimento di compassione per gli animali da laboratorio.
Dopo un certo tempo, egli non avverte più compassione: è incallito, desensibilizzato...
Una caratteristica di tutti gli sperimentatori che ho conosciuto non è che sono individui palesemente strani, ma che, almeno all'apparenza, sembrano persone normali, educate e gentili. E non voglio dire che essi non lo siano. Ciò che contesto è la convenzione dei laboratori, non solo in merito agli animali sofferenti, ma anche in merito alla sanità sociale del genere umano».
Il chirurgo Stephen Smith, che aveva lavorato all'Istituto Pasteur e del cui libro si parla altrove, aveva dichiarato alla seconda Royal Commission inglese:
«La prima volta che assistetti a un esperimento brutale su di un animale non anestetizzato volevo andarmene: ero nauseato. La seconda volta ne soffrii meno, e ogni esperimento seguente mi fece sempre meno impressione, finché fui capace di assistere agli interventi più terribili senza la minima emozione: soltanto il mio intelletto mi diceva che l'animale veniva torturato. E sono sicuro che la stessa cosa accade a tutti coloro che assistono agli esperimenti».

Il problema del progressivo incallimento della sensibilità umana, che si riscontra fatalmente in tutti i vivisettori, è un fenomeno estremamente grave. Dato che la vivisezione viene condotta in un numero sempre crescente di paesi — basta pensare alle "nuove repubbliche" del Terzo Mondo, i cui docenti di fisiologia, istruiti in Europa e in America, ripetono gli esperimenti di Claude Bernard e compagni — cresce costantemente il numero degli individui condizionati alla tortura sistematica, a sprezzare le sofferenze altrui, e a compiere atti d'inconcepibile crudeltà come la cosa più naturale del mondo ; e l'esperienza dimostra che le vittime non sono sempre soltanto animali.

L'inumanità — o schizofrenia che dir si voglia — dei vivisettori è dimostrata anche dal modo di esprimersi nelle loro relazioni "scientifiche". Quando il White di Cleveland riferisce un suo trapianto di testa di scimmia, egli chiama tale operazione «una trasferta vascolare di un encefalo isolato su un corpo isolato ricevente», e descrive così una serie di esperimenti: «Tutti e quattro gli scambi di trapianto encefalico sopravvissero; i loro periodi di vitalità variarono dalle 6 alle 36 ore. Entro 3-4 ore, ogni encefalo manifestò coscienza dell'ambiente esterno, accettando o tentando di masticare o ingoiare cibo che gli era stato messo in bocca...»

Già nel marzo 1932 si poteva leggere su Medical Times: «Il danno morale che causa la vivisezione non è soltanto generale ma anche individuale. Qual è fatalmente l'effetto sulla morale dello studente di medicina?...
Non sarebbe difficile portare esempi che illustrano come la vivisezione fa degenerare il senso morale dei vivisettori».
Difatti a costoro è così alieno il concetto di pietà e così incomprensibili sono i motivi dei loro oppositori, che quando nel 1974 ci fu negli Stati Uniti un'ondata di protesta popolare alla notizia che le forze armate si accingevano a provare su 600 cani beagles l'efficacia di nuovi gas velenosi (nonostante l'esistenza di mezzi chimici d'accertamento molto più precisi), gli "scienziati" incaricati del progetto proposero d'impiegare maiali al posto dei cani. E nel Tempo Medico italiano si leggeva nel giugno 1972 il seguente ragionamento: «Quando la ricerca italiana avrà a disposizione tutti gli allevamenti da laboratorio di cui ha bisogno... si ridurranno di molto le reazioni degli zoofili, anche perché la fauna domestica non ne verrà più impoverita» (p. 42).


Nel 1974, una delle più importanti case editrici tedesche di edizioni economiche, DTV, mise in vendita in tutte le edicole d'Europa un tascabile intitolato Zoologiche Experimente ("Esperi- menti zoologici"), esplicitamente dedicato «agli scolari tra i 14 e i 18 anni», e contenente istruzioni sul modo di vivisezionare topi, rane, porcellini d'India e via di seguito. Esempio: «Il topo, piazzato sul tavolo, viene tenuto per la coda. Strappando all'insù la coda con mossa violenta e improvvisa mentre si esercita una pressione sulla nuca del topo mediante una pinzetta o una forbice chiusa, si udrà un crack, che indica la frattura della spina dorsale» (p. 367).

Commentò il quotidiano svizzero Blick (12-5-1974): «Testi di questo genere sono più riprovevoli della più volgare pornografia»
Quindi il sistematico incallimento delle qualità umane non inizia solo a livello universitario. Lo ha ricordato recentemente ancora il prof. Richard Ryder, che conosce la vivisezione per essere stato costretto a praticarla mentre studiava psicologia:
«Un tempo la sottocultura vivisezionista era limitata, ma adesso si fa sempre più diffusa.
Notizie raccapriccianti, per lo più dagli Stati Uniti, riferiscono di scolaretti che lanciano scimmie in aria appese a razzi fabbricati in casa, o tentano trapianti di cuore sui conigli, o fanno morire di fame topi per cosiddetti esperimenti dietetici.
A migliaia di bambini è stato insegnato che simili crudeltà sono encomiabili. A una cosiddetta Fiera Scientifica Internazionale organizzata a Cobo Hall, Detroit, un diciottenne ha esibito una scimmia moribonda, dal cui cranio forato fuoriusciva pus, come dimostrazione della sua abilità d'impiantare elettrodi: è stato premiato e poi glorificato dalla prestigiosa rivista New Scientist). (Da Animals, Men and Morals, ed. Victor Gollancz, Londra, 1971, p. 76.)

È proprio questa la società che vogliamo edificare? È questo il mondo che vogliamo lasciare ai nostri figli?




tratto da: Imperatrice Nuda al capitolo "LA DISUMANIZZAZIONE"
http://www.hansruesch.net/articoli/Imperatrice%20Nuda%20(1976).pdf


Claude Bernard ammetterà : «Le nostre mani sono vuote, e solo la nostra bocca è piena di promesse»: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=479664045444780&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src



Il pdf di Imperatrice Nuda scaricabile anche da questo link :http://www.dmi.unipg.it/~mamone/sci-dem/nuocontri_1/ruesch_IN.pdf


Capitoli di IMPERATRICE NUDA:
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=508213929256458&set=a.508213905923127.1073741842.469925656418619&type=3&src


_________________________



vedi anche: http://www.hansruesch.net/

Nessun commento:

Posta un commento