venerdì 17 aprile 2015

Riti tribali, sangue e sacrifici umani Cosa succede sui barconi

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PALERMO - La vicenda dei 12 migranti gettati in mare dai loro compagni di viaggio perché cristiani - secondo i testimoni - anche se con motivazioni diverse ha diversi precedenti. Nel maggio 2011 sul molo di Lampedusa, quattro ragazzi appena sbarcati da un barcone proveniente dalla Libia, con segni di percosse sui volti, raccontarono di una rissa a bordo e di un giovane gettato in mare, ognuno fornendo una motivazione: uno disse che il migrante era stato preso di mira perché, secondo alcuni, portava jella. Un altro raccontò che poco prima il giovane aveva cosparso di una polverina il capo di alcuni profughi, un altro ancora sostenne che il ragazzo, dopo aver sparso la polverina, si era buttato volontariamente in mare. Tutti, però, concordano sul fatto che il malcapitato era finito in acqua. Poi uno dei testimoni parlò anche di due donne gettate in mare oltre al giovane.

Il 4 agosto dello stesso anno avvenne, sempre secondo i testimoni, di peggio: su un barcone in avaria due nigeriani e tre ghanesi - poi arrestati - avrebbero gettato in acqua un numero imprecisato di persone come rito propiziatorio, sacrifici umani offerti alle divinità in cambio di un approdo certo. Uno dei testimoni descrisse cosi' l'orrore: alcuni uomini erano convinti che l'avaria si fosse verificata per gli influssi negativi di qualcuno che si trovava a bordo. Il primo a essere preso di mira fu un ghanese, legato e rinchiuso nella stiva. Qualche ora dopo fu fatto uscire e buttato in mare, vivo. Poi toccò a un nigeriano, che pagò con la vita la ''colpa'' di aver steso dei panni mentre canticchiava. I testimoni parlarono di tre o quattro persone buttate giù dalla barca quotidianamente, in un viaggio che era durato cinque giorni. E raccontarono che uno degli scafisti, dopo aver assistito a questo orrore, decise di buttarsi in acqua con un giubbotto salvagente.

 

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