lunedì 27 aprile 2015

L'ultima verità sulla strage di Codevigo: 136 i fascisti uccisi da partigiani e Regio Esercito

Sulla base dei documenti Lino Scalco accerta il numero dei morti: furono 136 i fascisti ammazzati dal Gruppo di combattimento "Cremona" del Regio Esercito e dai partigiani guidati da Arrigo Boldrini. Pronto un libro, ma il Comune non ha più i soldi per pubblicarlo
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PADOVA. Il libro è già pronto: "Codevigo nella storia e nella coscienza storica: 1866-1966", duecentosettanta pagine dense sulla storia di Codevigo, che diventeranno 350 con il corredi iconografico. Ma non esce per colpa del patto di stabilità, non ci sono i soldi. Il sindaco di Codevigo, Graziano Bacco, sta cercando uno sponsor a destra e a manca, e non è facile. Nell'attesa, siamo in grado di anticipare la parte più succosa del lavoro di Lino Scalco e della sua équipe: un centinaio di quelle duecentosettanta pagine riguardano infatti il fatto storico più saliente della secolare vita di Codevigo, comune padovano ai limiti della laguna, lo sbocco al mare patavino, con le sue valli Millecampi e Morosina.

Ma Codevigo è stata teatro involontario della strage: quella che dal 29 aprile al 15 maggio del 1945 ha segnato una pagina dolorosa della nostra storia nazionale. Una pagina a lungo nascosta, e poi indagata, più o meno superficialmente, sommersa e riemersa a seconda degli interessi di parte. Perché, quella di Codevigo, è stata una strage firmata dagli antifascisti Oggi, una lettura storica attenta, puntigliosa, super partes riesce a darne contorni precisi ed una ricostruzione attendibile. Possiamo dire che finalmente è stata scritta tutta la verità possibile.

Cosa succede in quei giorni del 1945? La Liberazione: l'Ottava armata britannica atrraversa il Po e marcia verso nord. Aggregato agli inglesi c'è anche il Gruppo di combattimento "Cremona", che fa parte del Regio Esercito e fiancheggia gli alleati. Ci sono anche i partigiani, quelli della 28ª brigata garibaldina "Mario Gordini", sotto il comando di Arrigo Boldrini, mitico capo dalle superiori capacità organizzative. E' importante sapere che sia gli effettivi del "Cremona" sia i partigiani sono tutti originari del ravennate. Arrivano a Codevigo il 29 aprile: liberatori ma anche, com'era comprensibile, giustizieri. Eliminano subito la fascistissima maestra del paese, Corinna Doardo, e altri due o tre neri locali. Sono eliminazioni senza processo. Il parroco di Codevigo, don Umberto Zavattiero, annota tutto nel chronicon.

Ma questo è solo l'inizio: l'eliminazione, purtroppo "fisiologica" dei fascisti locali è il primo passo di una resa dei conti che parte da lontano. Soldati del Regio Esercito e partigiani sono tutti di Ravenna e dintorni, e hanno parecchi conti in sospeso. Apprendono che camicie nere e formazioni repubblichine provenienti da Ravenna e provincia sono fuggite davanti all'avanzata alleata e poi si sono arrese ai CLN locali. Probabilmente hanno degli elenchi precisi, con nomi e cognomi dei tre gruppi di fascisti: la Guardia Nazionale Repubblicana e la brigata nera del presidio di Candiana, la Guardia Nazionale Repubblicana dei presidi di Bussolengo e Pescantina, nel Veronese. Vanno a prenderseli. Potevano? Forse no, ma lo fanno, in modo molto deciso.

I partigiani di Boldrini si presentano ai compagni che custodiscono i fascisti e se li fanno consegnare: promettono che li porteranno a Ravenna per processarli, li caricano sui camion e se li portano via. Non arriveranno mai a Ravenna, non ci sarà alcun processo: l'ultima fermata è Codevigo, la tomba sparsa dei fascisti. Sparsa: perché vengono ammazzati in luoghi diversi: nei campi, sugli argini del Brenta e del Bacchiglione, dentro a qualche casa colonica. I corpi sono abbandonati, o buttati in fiume. Sono tanti, e tutti senza documenti. La vendetta partigiana è una vendetta scientifica: cercata, voluta, programmata, eseguita. Ma non immotivata. Tra gli uccisi, come al solito, c'era di tutto: chi era vissuto di ideali e chi questi ideali aveva tradotto in potere, soprusi, violenze. I ravennati del "Cremona" e di Boldrini ricordavano bene le gesta degli squadristi e dei fascisti ravennati come loro: stupri, omicidi, spedizioni punitive compiuti nella provincia di Ravenna per anni e anni, dagli albori del Fascio di combattimento fino agli ultimi tempi.

Una resa dei conti, violenze da lavare con il sangue e la rabbia di chi ha subìto ed ora vince. Questi i fatti, sui quali per 65 anni non è mai stata fatta una completa luce. Ci sono state ricostruzioni, all'inizio opera della Destra, pesantemente di parte. Due le pubblicazioni-cardine sull'argomento: il libro di Gianfranco Stella, 1945. Ravennati contro, e un capitolo de I giorni di Caino, scritto con lugubre enfasi nera dal trevigiano Antonio Serena. Ora il lavoro di Lino Scalco aggiunge preziosi elementi di conoscenza, che riguardano le motivazioni e soprattutto i tragici numeri della strage. Queste che oggi diventano certezze, facendo evaporare le nebbie della propaganda da una parte e della volontà di silenzio dall'altra, sono il frutto di un lavoro capillare. Per la prima volta la ricerca è stata condotta in tutti gli archivi possibili, e sono emersi documenti fino ad oggi sconosciuti. Scalco, a Roma all'Archivio centrale dello Stato, e a Londra negli archivi militari di Kew Gardens a scovare la documentazione sulla strage resa subito nota dai Carabinieri e su un soldato neozelandese catturato, fuggito dalla prigionia e poi giustiziato a freddo dai fascisti proprio a Codevigo, e sul quale gli inglesi avevano aperto un'inchiesta.

Ha scavato negli archivi abbandonati del Comune di Codevigo e della ex Pretura della Piove di Sacco, è riuscito a raccogliere le ultime testimonianze, ben 55, dei testimoni sopravvissuti. Ed è riuscito a dare una risposta ad una delle domande fondamentali: quante furono le esecuzioni? Se andate nei vari siti di destra e di neofascisti, trovate che le vittime dell'eccidio sono indicate in 365. La cifra è quella scritta da Antonio Serena, e rimbalza come una parola d'ordine senza alcun controllo, perché è imponente. Secondo uno dei testimoni citati, il cardiologo Luigi Masiero allora camicia nera, i giustiziati furono 600, e lo stesso Masiero cita la cifra di 380 nomi certificati dal medico che nel '45 vide i corpi e redasse i certificati, Enrico Vidale. Un documento dell'arcidiocesi di Ravenna cita addirittura la cifra di 900 morti. Giampaolo Pansa, nel suo Il sangue dei vinti, arriva a 160 vittime, ma è lui stesso a dire che la sua ricerca si è fermata al racconto di una vecchietta trovata al bar, che citava i ricordi della madre.

Una ridda di cifre false, supposizioni, esagerazioni. In realtà gli uccisi furono 136. Di questi 18 erano di Codevigo, Pontelongo, Correzzola, Piove di Sacco almeno 64 residenti in provincia di Ravenna, e sugli altri non c'è certezza perché non sempre è stata possibile l'identificazione. Ma per la prima volta si ha un quadro chiaro di quest'episodio, della sua genesi, della sua durata e dei suoi effetti. Ecco la contabilità precisa: un primo rastrellamento in zona (Codevigo, Pontelongo, Correzzola, Piove) porta alla cattura di 18 noti fascisti, tutti identificati. Il blitz a Candiana, a villa Albrizzi sede della Guardia nazionale Repubblicana fa 27 prigionieri: tutti militari, molti ravennati, con qualche donna e ufficiali (questi ultimi, secondo le disposizioni di allora, passibili di pena di morte); con la trasferta a Bussolengo (uno o due viaggi) si aggiungono altri 24 prigionieri, tutti con nome e cognome; con quella a Pescantina altri 8; in mezzo, altri rastrellamenti nel Padovano, prelievi dalle carceri: in totale 59 persone, tra cui altri ravennati. Si capisce che andavano a cercarseli, sulla base di elenchi trovati nelle sedi fasciste del Ravennate. In totale 136

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