venerdì 20 marzo 2015

LO SFRUTTAMENTO NEI CALL CENTER


La parabola di una rivolta. Gli operatori dei call center Almaviva di Palermo

call center
* di Carlo Cuccomarino (estratto da www.commonware.org)

Le premesse di una conciliazione al ribasso
I call center hanno rappresentato in anni recenti un bacino di reclutamento lavorativo di notevole rilevanza soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, dove l’approfondimento della crisi - con le sue devastanti conseguenze sociali - ha prodotto una fuga delle attività produttive che a sua volta ha alimentato un flusso imponente di giovani diplomati e laureati verso le aree del paese ed europee che hanno tenuto meglio, si fa per dire, al suo incedere.
Il settore dei call center ha una vita breve rispetto ad altri settori, nasce di fatti negli anni’90 ed ha avuto sicuramente un’esistenza molto tumultuosa. Un settore mobile, flessibile, dove i profitti non sono mancati per nessuna delle piccole, medie e grandi aziende; quest’ultime peraltro continuano a macinare profitti ancora oggi, in anni difficili di recessione  economica.
Nel settore, in continua espansione fino al 2007, dal 2008 molte cose sono iniziate a cambiare.
Nel corso del 2007 sono stati stabilizzati 24.000 operatori (dati Cgil) sui 300.000 che erano allora occupati nel settore. Gran parte degli stabilizzati ha avuto il “tempo indeterminato”, (l’86%) ma spesso in cambio di orari di lavoro molto flessibili e della riduzione di salario. Sono stati questi gli effetti della “Circolare Damiano” del 2006, che ha visto aumentare quote di lavoro indipendente a tempo indeterminato. C'è da dire che in Italia questa rimane una delle operazioni di stabilizzazione più possente che sia stata fatta. Negli anni successivi, invece, c’è stato uno scivolamento da contratti stabili a precari. In ogni caso c'è da aggiungere, come afferma Andrea Fumagalli, che la stabilizzazione è stata pagata dagli stessi lavoratori. La maggior parte ha infatti ottenuto orari part time di sole 20 ore a settimana, che corrispondono a un salario inferiore ai 600 euro mensili. A fronte di ciò i lavoratori hanno dovuto firmare “conciliazioni”(come previsto dalla Finanziaria 2007) in cui hanno rinunciato a fare causa per i salari pregressi. Dei 24.000 stabilizzati, oltre 20.000 sono stati assunti con il contratto delle telecomunicazioni e altri 4.000 con quello dei metalmeccanici o  del commercio. L’86%  è stato assunto da subito a tempo indeterminato; il 3,8% con contratto a termine di cui è prevista la trasformazione a tempo indeterminato dopo 24 mesi; il 7,7% con il contratto da apprendistato o d'inserimento per cui è prevista la trasformazione in tempo indeterminato dopo 2 mesi. La stabilizzazione è avvenuta più nel Sud (49,7%) che nel Centro (33,5%) o nel  Nord (16,8%) del paese. Molte aziende che operano nel Nord esternalizzano nel Sud soprattutto la funzione outbound; la “circolare Damiano” era essenzialmente rivolta a lavoratori inbound, quelli che ricevono le telefonate dal cliente e quindi non sviluppano una attività lavorativa del tutto autonoma e indipendente, che è quella invece di chi telefona a casa per procacciarsi un cliente. Quest’ultima, la prestazione outbound, può godere generalmente di più autonomia. La stabilizzazione dei Call Center è avvenuta dunque nel 2007 e si è arrestata di fatto nel 2008 perché è stata resa possibile con i soldi stanziati dalla Finanziaria 2007; poi, nel 2008, c’è stato il cambio del governo e i soldi per favorire i processi di stabilizzazione non sono stati più finanziati.
I gruppi più grossi hanno stabilizzato da soli un terzo dei lavoratori, ma hanno orientato il mercato sul part time a basso quantitativo di ore: il 53% degli operatori hanno avuto un contratto con meno di 20 ore di lavoro; il 20,2% tra le 20 e le 30 ore; il 21,5% tra le 30 e le 36 ore. Solo il 5,3% ha avuto un full time di 40 ore settimanali!
Questo, naturalmente, ha comportato un processo di incremento della flessibilità oraria che è stato il modo con cui le aziende hanno reagito agli incrementi del costo del lavoro conseguenti alla stabilizzazione. Gli stipendi sono stati pagati il primo anno e poi sono stati spalmati e compensati da un processo di ulteriore segmentazione  e frammentazione produttiva, frammentazione resa possibile dal venir meno dell’orario pieno.

Alcune motivi dello sviluppo meridionale dei call center
Dicevamo che uno degli aspetti peculiari dello sviluppo dei call center è stato la dislocazione nel Sud del paese, un'area poco sviluppata ma che dispone tuttavia di forza lavoro istruita e di condizioni favorevoli dal punto di vista salariale e infrastrutturale. In una regione come la Sicilia, caratterizzata da un’endemica carenza di lavoro la crescita repentina dei call center tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del nuovo secolo ha rappresentato senza dubbio una grande opportunità di impiego per migliaia di donne e giovani privi di prospettive di inserimento nel mercato del lavoro. Tale crescita, da un lato, è stata accompagnata dai i rischi di sostenibilità, nel lungo periodo, di un settore caratterizzato da una competizione esasperata sul costo del lavoro e quindi particolarmente sensibile alle sirene della delocalizzazione; dall’altro lato, ha significato l'ampliamento dell’area di lavori instabili, mal pagati e dequalificati. Nel nostro paese i call center sono stati individuati come il regno della precarietà, dei contratti di lavoro atipici, di retribuzioni basse e incerte, di orario di lavoro disagiati: in breve, degli effetti perversi della flessibilità che caratterizza il mercato del lavoro contemporaneo. Si tratta di un tema che assume ancor più importanza in una regione come la Sicilia, tanto per le dimensioni, quanto per il significato assunto dal lavoro flessibile per la forza lavoro, soprattutto per quella giovanile. I call center, dunque, continuano a rappresentare in Sicilia un ambito occupazionale rilevante, il cui contributo ai redditi di migliaia di famiglie non può essere sottovalutato, soprattutto in questa fase storica particolarmente critica. Le aziende sfruttano alcune competenze di base associate all’acquisizione di un titolo di studio di scuola media superiore (linguistiche, informatiche) ed alcune abilità relazionali e comunicative (per attività di comunicazione con i clienti) che richiedono una formazione snella e prevalentemente on the job che non implica investimenti sulla forza lavoro.
La flessibilità oraria e contrattuale ha incontrato una disponibilità di forza lavoro non particolarmente interessata a un inserimento lavorativo standard nel settore, sia per ragioni di conciliazione con altri ambiti di vita (studio,famiglia), sia perché proiettate verso carriere lavorative alternative.
Uno dei principali fattori di differenziazione delle strategie aziendali di reclutamento e gestione delle risorse umane è rappresentato dal contesto territoriale che condiziona chance e aspettative della forza lavoro, inducendo aggiustamenti nelle politiche aziendali.
La nostra attenzione sulle lotte di ottobre a Palermo, dunque, va assunta come emblematica del ruolo che i call center svolgono in Sicilia, poiché per dimensioni, assetto socio economico e modello di sviluppo, la città presenta un profilo simile a quello delle concentrazioni urbane della Regione in cui si sono sviluppati i call center e il confronto con i profili socio biografici e contrattuali degli addetti che operano in altre regioni permettono di farci cogliere somiglianze e differenze.

Le ragioni della lotta degli operatori Almaviva a Palermo
La lotta dei lavoratori Almaviva di Palermo scaturisce dopo l’applicazione in loco di un contratto nazionale che riguardava 40.000 lavoratori a progetto a livello nazionale. L’accordo bidone siglato lo scorso agosto dai confederali delle telecomunicazioni non poteva  che creare una rivolta tra i lavoratori, ciò l’avevamo di fatti intravisto e portato all’attenzione  subito dopo avere letto i contenuti del contratto.
A Palermo, nei call center Almaviva, gruppo della famiglia Tripi, lavorano  1000 cocopro, a fronte di 400 dipendenti. Almaviva è la maggiore azienda di call center in Italia, opera per committenti come Sky, Wind, Enel, Vodafone, Mediaset, tanto per fare alcuni nomi e, nel settore pubblico, con diversi ministeri e istituti come l’Istat. Almaviva occupa 27.000 persone e ha sedi in Brasile, Cina e Tunisi. Quanto guadagnano questi operatori?
A Palermo alcuni di loro ci dicono che si lavora a “contatto utile”. L’outbound, cioè l’operatore che chiama i clienti a casa per conto dei committenti, per ogni risposta ricevuta - anche se poi riattacca - guadagna 20 centesimi. Se però la telefonata va a buon fine, ovvero se il cliente accetta di siglare il contratto proposto, allora il compenso sale decisamente, fino a 8,30 euro. Con questo meccanismo, lavorando anche 10 ore al giorno si guadagnano in media 600euro mensili, che possono arrivare a 1000-1200 per i venditori più dotati. Senza tutte le tutele e i contributi da dipendenti.
Andiamo ai fatti. Il primo Agosto scorso Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom, firmano un accordo con Asstel (Associazione dei call center in outsourcing), che tra le tante “delizie”  in esso contenute, prevede quella di imporre una “conciliazione su tutto il pregresso agli operatori”! che vogliono continuare, dopo anni di precariato, a lavorare per la stessa azienda.
Come abbiamo già detto il fatto di “imporre conciliazioni” fu inaugurato con la Finanziaria del 2007, e in quest’ultimo contratto si alza il tiro. Anche qui ritroviamo che si deve rinunciare al “diritto di fare causa” nel caso in cui, ad esempio, si sia prestato un “falso lavoro autonomo” (ovvero un “lavoro dipendente” a pieno titolo): Almaviva ha chiesto dunque ai propri operatori, come da contratto nazionale, di siglare un “colpo di spugna tombale”!!
Insomma, dopo anni di lavoro a progetto e di precariato selvaggio agli operatori Almaviva di Palermo viene chiesto di rinunciare ad ogni diritto acquisito, tra i quali: ferie, festività e malattia; e dichiarare, inoltre, condizioni lavorative non vere!! Rinunciare ad ogni diritto, affermare di non avere mai visto un team leader, di non dover rispettare fasce orarie o turni; di non dover segnalare pause per andare in bagno e per un bicchiere d’acqua. Almaviva ha chiesto ai propri operatori di affermare di essere stati liberi e quindi non equiparabili a lavoratori subordinati. Tutto ciò per avere un altro contratto atipico, di uno o tre mesi, e sempre nella modalità a progetto. Almaviva, inoltre, spiega che questa “conciliazione tombale” è l’unico modo per accedere alle “liste di prelazione” per i futuri contratti.
Va da sé che in ballo non c’è solo una questione che riguarda i lavoratori a progetto siciliani di Almaviva ma tutti  i 40.000 operatori outbound presenti nel nostro paese. A Palermo da questo punto di vista  si compie  una importante prova generale! Almaviva si fa forte di un Contratto Nazionale che gli ha aperto una sconfinata prateria  ad esclusivo suo vantaggio e inizia dal capoluogo siciliano a sferrare un mortale attacco ai tentativi di resistenza che durante il mese di ottobre si sono determinati nei call center palermitani.
Mobilitarsi autonomamente, come è stato fatto a Palermo, rimane l’unico modo possibile per  i lavoratori a progetto di contrapporsi all’attuale conflitto aperto da Almaviva, che indica perfettamente l’idea che, dopo quell’accordo, si sono fatti nei loro confronti i vari gruppi padronali. Questo “atto di conciliazione”, come abbiamo già detto, lederebbe i diritti accumulati negli anni, tra cui le quote di anzianità lavorativa e imporrebbe ai dipendenti la rinuncia a qualsiasi eventuale contenzioso, in cambio delle rassicurazioni aziendali fornite a entrare nelle liste di prelazione. Uno scambio, c’era sembrato di capire, a cui i dipendenti sin dall’inizio non intendevano sottostare. Non firmare il  verbale di conciliazione, per tutti loro, aveva un significato chiaro: evitare di essere inabissati nel fondo  di quella precarietà nella quale quotidianamente vivono. I lavoratori dei call center sono legati a fasce orarie, sottostanno ad ordini superiori ed a ordini di servizio, giorno dopo giorno. Tutto al contrario, dunque, di una “mansione libera e autosufficiente”! Dichiarare di non essere mai stati subordinati e di avere svolto prestazioni di lavoro a favore della società in virtù di contratti di collaborazione autonoma è una affermazione non vera che nega di fatti lo stato reale delle cose! Almaviva tratta i propri operatori da lavoratori dipendenti ma vuole che affermino che non lo sono!
Inoltre, l’entrata di diritto nel “bacino di prelazione”, sta stretta ai lavoratori in quanto non fornisce nessuna certezza in merito al loro futuro professionale. Chi ci garantisce, argomentano molti di loro, che tra un mese, dopo avere siglato l’accordo, non ci licenzieranno? In quel caso, non si può fare più nulla visto le premesse che sono contenute nel “verbale di riconciliazione”. Ai lavoratori, tutto questo era molto chiaro: non intendevano sottostare a queste prevaricazioni e i giorni di mobilitazione e di lotta stanno tutti lì a dimostrarlo.
Ma non è tutto. In un incontro fra i tanti avuti in queste intense settimane di ottobre, con l’Ispettorato del Lavoro, è stato evidenziato da parte dello stesso che firmando la conciliazione i lavoratori rischiavano di essere perseguiti penalmente. Al danno, per tutti loro , si aggiunge la beffa!
Dopo anni di silenzio i lavoratori a progetto iniziano a sottoporre all’attenzione di tutti le loro condizioni di lavoro: turni che possono arrivare fino a 10 ore consecutive, domeniche e giorni di riposo soppressi, obbligo di chiedere il permesso persino per andare al bagno o per bere un bicchiere d’acqua, pressioni da parte dei team leader per vendere il più possibile; attività tutte queste svolte sotto la minaccia di non essere confermati il giorno successivo. Episodi che accomunano la maggior parte dei call center d’Italia e che puntano i riflettori in un mondo pieno di ombre.
Almaviva, in un primo momento, decide di rinviare l’attacco e le “conseguenze della conciliazione” a data da destinarsi. Oltretutto la rivolta partita da Palermo, grazie a Facebook, è dilagata fino a Catania. Il Segretario Nidil Cgil di Catania, registrando i tentennamenti dell’azienda, affermava: “Almaviva ha allentato la presa perché deve coprire le postazioni e se l’obbligo delle conciliazioni fosse operativo, visto il gran numero dei precari che non ha dato la disponibilità a firmare non avrebbe addetti a sufficienza”.

La paura, la resa e la ricerca di nuove strade
30 ottobre, dopo settimane di sostanziale contrapposizione alla firma dell’atto di conciliazione proposto dall’Azienda, dopo avere esibito un chiaro no unanime da parte di tutti gli operatori; nel giro di una giornata, come se niente fosse successo durante tutto il mese di ottobre, tutti gli operatori ponevano il proprio nome su un documento ritenuto giorni prima una rinuncia ai propri diritti lavorativi e alla propria dignità. Non ci hanno dato altra scelta dichiarano in molti. Il terrorismo psicologico ha avuto la meglio.
In entrambe le sedi Cosmed e Alicos di Palermo hanno praticamente accettato l’accordo continuando ad esprimere il proprio malcontento, per avere dato addio ad anni di contratti, proroghe e rinnovi, e per il criterio fissato per stilare la graduatoria ai fini dell’attribuzione del diritto di precedenza. Solo una ventina di operatori hanno deciso di non accettare la conciliazione e annunciare che proseguiranno la lotta con azioni di opposizione per altre vie.
Per quest’ultimi il diritto di intentare causa alla società, di non dichiarare il falso, ovvero di non essere mai stati soggetti a turni, orari fissi e gerarchie non possono essere subiti, pena la sconfitta. Ribellarsi a tutto ciò ha significato, per la stragrande maggioranza degli operatori, la paura di non essere confermati il mese successivo. Di questo ne sono consapevoli questo esiguo numero di lavoratori che hanno comunque deciso di continuare la lotta in altri modi. Sappiamo bene che quest’ultimo atteggiamento per essere vincente ha bisogno di sconfiggere la paura, quella stessa che l’azienda regolarmente diffonde sistematicamente sull’operato dei lavoratori e diffonde a dosi massicce quando i tentativi messi in atto in queste settimane dalle lotte minaccia il rapporto di forza in campo. Sappiamo che non è facile, ma ricompattare la resistenza contro questi tentativi di dominio e controllo messi in atto da Almaviva è la cosa da provare a fare senza  l’angoscia di iniziare da capo. I meccanismi di assoggettamento messi in opera a Palermo, luogo dove l’attacco padronale sulla precarietà ha avuto inizio in questo autunno, hanno avuto la meglio sui 1000 operatori. Bisogna comunque dire che per la prima volta nella storia e nelle lotte recenti di un call center il fatto di essere costantemente ricattati non è stato da tutti semplicemente interiorizzato, ma è stato vissuto come reale impedimento all’azione, alla costruzione dei propri interessi materiali e non solo. Le palesi contraddizioni che emergono ci consentono di capire i problemi che impediscono lo sviluppo dei processi di soggettivazione tra gli operatori. Dopo questa sconfitta di Palermo i lavoratori a progetto continuano rimanere Lap. Non c’era, questa volta, come 5 anni fa, nessuna stabilizzazione in ballo, il contratto ha confermato l’aumento della precarietà e la progressiva perdita di valore economico del lavoro contemporaneo.  Questo risultato, il suo esito negativo, non cancella il fatto che una mobilitazione così lunga nei call center meridionali non si era mai avuta. I pareri e i giudizi unanimi espressi con forza, a voce alta, in questo ultimo mese, non lasciavano presagire un esito di questo tipo.

Storia di una commessa e di un call center

call-center
 * di Francesco Maria Pezzulli (estratto da: quaderni.sanprecario.info/effimera/)
Una storia esemplare di come i call center siano veicolo di elevato guadagno per le grandi imprese di comunicazione. Una storia esemplare: grazie allo sfruttamento della condizione precaria  si creano sinergie e collusioni a vantaggio della rendita e dei profitti e a scapito delle vite. La paradigmatica storia di Call & Call e della commessa di Mediaset Premium. Continua l’inchiesta sui call center calabresi.
* * * * *
Call & Call, call center milanese con sede a Locri, fino al 2010 ha avuto una sede operativa anche nella Cosenza Valley[1].  A seguito di una rocambolesca occupazione degli uffici (che ha costretto per un giorno in più del desiderato il responsabile aziendale milanese giunto sul posto a decretare il licenziamento dei 50 operatori cosentini) C&C è stata venduta, a fine
novembre 2010, al colosso del settore Almaviva. Non ci è dato di sapere la logica che ha governato tale cessione: gli affari andavano bene, C&C si apprestava a divenire un call center leader ed il suo presidente e fondatore, un uomo ex mondadori, dal 2006 ricopriva il ruolo di presidente di Assocontat con tutto ciò che questo comporta in termini di strategia aziendale e visibilità nei confronti di potenziali clienti. E’ certo che l’occupazione non ha fatto granché paura all’azienda, l’azione sindacale “al ribasso” ha mostrato subito efficacia ed il “fronte duro” degli operatori si è presto dissolto. Peraltro C&C ha una certa esperienza nella gestione di situazioni conflittuali, come dimostra il fatto che solo pochi mesi prima, a febbraio, l’azienda di Cinisello ha rilevato dal gruppo Phonemedia (che di li a poco fallirà lasciando a spasso solo in Calabria 2000 persone) la Answers di Pistoia con oltre 500 operatori che da 101 giorni presidiavano (hanno occupato) gli stabilimenti[2].
In questo scritto intendo quantificare il fatturato cosentino di call&call e la sua distribuzione tra i soggetti in campo: l’impresa committente, il call center (impresa di servizio), gli operatori outbound. Ai tre essenziali, vedremo, se ne aggiunge un quarto: l’istituto finanziario.
Il fatturato, è noto, è pesantemente influenzato dalla produttività degli operatori. A maggiori volumi di telefonate gestite corrispondono maggiori guadagni per il call center. Non è un caso, che un modo di dire consueto degli operatori è che nel call center il “tempo è tutto”[3]. Abbiamo detto che la nostra storia è relativa ad una commessa per la quale “gli affari andavano bene”, e non è esagerato dire che il piccolo call center cosentino ha influito non poco sulle performance economiche del gruppo che in quegli anni sfonderà il tetto dei 50 milioni di euro di fatturato[4]. La commessa Mediaset Premium che C&C si trovò a gestire dal 2007 al 2009. Si è trattato di «una commessa da favola, che anche il più imbranato degli operatori ce la fa a vendere… nei miei cinque anni nel call center niente di più facile, i più capaci arrivavano anche a fare 10 abbonamenti al giorno». Per ogni contratto effettuato incassava una cifra di tutto rispetto: 100 euro.
Con Massimo, Luca e Alessandra, che di abbonamenti Premium ne hanno “piazzato” numerosi nel triennio in questione, siamo partiti da questa domanda: quanti contratti mediamente è riuscito a chiudere un operatore? Secondo i loro calcoli sono almeno quattro, sicuramente tre: «non ne faceva nessuno o solo uno quelli appena arrivati, poi già dopo qualche giorno cominciavano a farne pure loro; oppure ne facevano solo uno o due quelli che in quei giorni avevano problemi e non riuscivano ad ingranare… ma la maggior parte di noi che già lavoravamo da un po’ e sapevamo come funzionava ne facevamo almeno cinque al giorno e mi sto tenendo basso nella stima… come ti dicevo i più capaci ne facevano anche una decina». Questi numeri ci sono stati confermati anche da loro ex colleghi sentiti appositamente per telefono. Dunque, tre abbonamenti al giorno.
Gli operatori C&C che hanno lavorato alla commessa Mediaset Premium sono stati 20 per i primi 6 mesi del 2007 e 50 (tutti) dalla seconda metà del 2007 fino al termine del 2009 (30 mesi). Hanno lavorato sei giorni a settimana: dal lunedì al venerdì tutti e 50; il sabato – come nei primi 6 mesi – solo 20.
La tipologia di abbonamento venduta da C&C ha avuto un costo mensile di 30,00 euro; qualora l’abbonato sia rimasto fedele per l’intero periodo contrattuale (un anno) l’esborso è stato di 360,00 euro. Il singolo operatore, dunque, con tre vendite al giorno ha incrementato quotidianamente le finanze di Mediaset Premium di 1.080,00 euro. Di questi 300,00 vanno al call center e 780,00 rimangono a Premium. All’operatore vanno 30,00 euro, 10 a contratto, meno del 3% del fatturato generato.
Per calcolare i guadagni complessivi di Mediaset Premium e di Call & Call, nonché le cifre relative ai compensi per gli operatori, bisogna ora moltiplicare i valori di sopra per il numero di giorni lavorati  e per il numero di operatori impiegati.
Mediaset Premium
PERIODO
GIORNI
N° OPERATORI
FATT. 1G*OP
TOTALE (EURO)
Gennaio – Giugno 2007
277
20
1080
5.983.200,00
Luglio 2007 – Dicembre 2009
630
50
1080
          34.020.000,00                                                                                                              40.003.200,00      

Il fatturato lordo di Mediaset Premium, relativamente alla singola commessa di C&C è di oltre 40 milioni. Di questi, più di 11 vanno al call center, mentre restano all’impresa committente 28.890.200,00 euro.
A questo punto, trattandosi di ricchezza finanziaria, quindi parzialmente incerta per definizione (gli abbonati potrebbero disdire il contratto per più motivi), Mediaset Premium è molto probabile che abbia ceduto il suo credito ad un Istituto Bancario o finanziario. In questi casi la scelta ricade tra due modalità: uno sconto del credito pro soluto (quando il cedente garantisce solamente l’esistenza del credito, ossia non deve rispondere dell’eventuale inadempienza del debitore e cioè scarica i rischi sulla banca) oppure uno sconto del credito pro solvendo (quando il cedente è anche garante della solvibilità del credito). Nel primo caso, come ci spiegava un manager di banca specialista nelle operazioni di credito, la percentuale che il possessore del credito deve cedere all’Istituto che sconta è del 20% circa (si determina precisamente in base ad alcune caratteristiche: posizionamento dell’azienda nel settore merceologico di appartenenza, informazioni bancarie e commerciali, analisi dei bilanci, eccetera). Nel secondo caso si aggira intorno al 10%.
Trattandosi di un credito diffuso, quindi particolarmente critico, è lecito supporre che Mediaset Premium privilegi lo sconto pro solutio e ceda all’istituto bancario di riferimento  5,8 dei quasi 29 milioni. Gli rimangono a fine processo – questa volta monetari in cassa -  23.112.960,00 euro.
Uscita dal gioco Mediaset Premium, passiamo a calcolare il fatturato di Call &Call.
Questa la tabella di sintesi:
Call&Call
PERIODO
GIORNI
N° OPERATORI
FATT. 1G*OP
TOTALE (EURO)
Gennaio – Giugno 2007
277
20
300
1.662.000,00
Luglio 2007 – Dicembre 2009
630
50
300
9.450.000,00
                                                                                                                                                            11.112.000,00


Dagli oltre 11 milioni di euro vanno sottratti i costi dei compensi degli operatori (il 10%). Mentre le spese di struttura e del personale responsabile (1 dirigente assunto a tempo indeterminato con funzioni trasversali, in particolare marketing e formazione) andrebbero sottratte in quota percentuale, in base al peso relativo che la commessa Mediaset Premium ha assunto sul fatturato totale di Call&Call a Cosenza nel triennio in considerazione.  Ma bisogna tener presente che tale fatturato totale del triennio non deriva esclusivamente da commesse private, ma per una parte consistente anche da agevolazioni pubbliche. Call & Call, infatti, come la stragrande maggioranza delle imprese del centro nord con stabilimenti operativi nel Mezzogiorno, ha goduto dei finanziamenti europei e regionali per lo sviluppo delle aree arretrate[5]. E’ difficile ricostruire la cifra precisa di questi finanziamenti acquisiti dal 2007 al 2009. “Voci di corridoio” parlano addirittura di 10 milioni di euro nel triennio ma non abbiamo al momento notizie certe in merito (la cifra non deve stupire, la Phonemedia nel solo 2008 – prima di fallire – ha ricevuto dalla Regione fondi europei per 11 milioni di euro al fine di stabilizzare nel triennio i suoi 240 operatori). Quello che è certo, comunque, come afferma il presidente Costamagna, è che C&C ha avuto più finanziamenti regionali nel triennio che gli hanno permesso, tra l’altro, di contrattualizzare gli operatori della sede di Locri[5]. Cosi come è certo che, tra dicembre 2012 e febbraio 2013, C&C ha ricevuto dall’amministrazione regionale della Calabria oltre 870 mila euro (il 58% di un finanziamento di quasi 1,5 milioni di euro ottenuto sui fondi FSE 2007/2013) per “rafforzare l’inserimento o reinserimento lavorativo dei lavoratori adulti, dei disoccupati di lunga durata e dei bacini di precariato occupazionale attraverso percorsi integrati ed incentivi”[6]. Insomma, il business di C&C non si basa solo sullo sfruttamento dei telefonisti ma anche sulla cecità interessata delle classi politiche locali, relativamente a strategie e politiche di sviluppo socioeconomico.

Ipotizziamo allora che i costi generali e di struttura siano coperti dai finanziamenti regionali (in realtà questi ultimi sono ben superiori) e ritorniamo ai nostri calcoli sul guadagno “da lavoro” di Call&Call che è poco più di 10 milioni (10.000.800).

Per quel che riguarda invece gli operatori i loro compensi complessivi superano il milione di euro. Mediamente ciascuno di loro ha guadagnato 780,00 euro lorde mensili, la stessa cifra che ogni singolo operatore ha fatto guadagnare quotidianamente a Mediaset Premium, senza contare che nello stesso giorno ha incrementato le casse di C&C di altre 300,00 euro.
Operatori
PERIODO
GIORNI
N° OPERATORI
FATT. 1G*OP
TOTALE (EURO)
Gennaio – Giugno 2007
277
20
30
166.200,00
Luglio 2007 – Dicembre 2009
630
50
30
945.000,00
                                                                                                                                                         1.111.200,00


Sappiamo bene che lo sfruttamento di un operatore di call center non riguarda solamente il tempo nel quale egli lavora, ma coinvolge anche la sua mente e, con essa, l’intero tempo di vita. Per meglio dire, nei call center «è messa in piedi una macchina organizzativa totalizzante, nella quale gli operatori (e le loro qualità intrinseche) sono imbrigliati in piattaforme informatiche ed in spazi dove si esercita una consistente attività ideologica, che inizia nei corsi di formazione e prosegue quotidianamente sul posto di lavoro (controllo dei team leader, riunioni con responsabili, eccetera). In questo senso, il call center ha una fisionomia particolare, fa convivere la vecchia catena taylorista (oggi informatica) con il “grande fratello” della comunicazione: il corpo e la mente sono completamente coinvolti nell’organizzazione d’impresa, la quale detta i tempi e i modi della prestazione lavorativa e diffonde la novella del “bravo operatore” che, competitivo e vincente, potrà raggiungere se lo vorrà favolose performance e quindi valorosi obiettivi di vendita e guadagno. L’organizzazione del call center, in altri termini, non è volta solo al controllo degli operatori ma mira direttamente alla “produzione” degli stessi»[7].

Cosi come sappiamo che la teoria del valore lavoro, in un simile contesto, non riesce come un tempo a restituire la misura esatta dello sfruttamento. Allo stesso tempo, l’esercizio riportato ci sembra utile per avere un riferimento quantitativo preciso, singolare ma significativo, da comunicare agli operatori che ritengono “naturale” o, peggio, “giusto” il misero compenso che ricevono; e da comunicare anche a quei sindacalisti del settore privi d’immaginazione, che non riescono a far altro che sottostare agli accordi truffa, come quello recentemente controfirmato con Almaviva di Palermo.

---
NOTE:
[1] Cosenza è stata definita Valley dal management dei call center per la presenza di forza lavoro immateriale a prezzi convenienti. In altre parole, la conurbazione è il contesto regionale dove lo sfruttamento intensivo degli operatori frutta maggiori profitti, in quanto il lavoro immateriale costa meno e le implicazioni giuridiche del rapporto con gli operatori sono quasi inesistenti. Non è un caso che Almaviva sbarca a Cosenza con il “salvataggio” (acquisto) di Call&Call e, mentre chiede la Cassa Integrazione di 632 dipendenti nella sede di Roma, prevede un piano di 250 assunzioni nella sede cosentina. Cfr. Gruppo d’inchiesta sulla precarietà e il comune in Calabria, “Sull’inchiesta politica nei call center calabresi”, in Quaderni di San Precario n.4/2013.
[2] Call & Call è una holding s.p.a con sede legale a Cinisello Balsamo (Milano), dove vengono svolte le funzioni di staff (finanza, personale, It, marketing), e sedi operative a Cinisello Balsamo, La Spezia, Roma, Locri (RC) e Pistoia. Nel complesso delle sedi occupa più di 2000 operatori.
[3] «Il tempo è tutto nel call center. È l’ossessione degli operatori, ai quali la giornata lavorativa viene  cronometrata in secondi. Il tempo di una conversazione che si prolunga oltre la media, una pausa che sfora i limiti stabiliti, la chiacchiera con il collega vicino o qualsiasi altra infrazione che allunga il distacco dal videoterminale è immediatamente sanzionata dal team leader, che si aggira come un segugio tra le postazioni, caricatura tragicomica del vecchio cronometrista». La misurazione (in secondi) del tempo in un call center avviene a partire dall’analisi dell’attività svolta in un determinato lasso. Uno dei criteri adottati è il seguente: TMC (tempo medio di conversazione); NR (tempo in cui si è occupati in altra conversazione); WAIT (tempo di attesa tra due chiamate); NOT Ready (tempo in cui si sta gestendo il back office). Cfr. Carlo Cuccomarino, F.M. Pezzulli, “Tra mirafiori e Bangalore” in Il Manifesto del 13/12/2012.
[4] Il giro d’affari (fatturato consolidato) del 2010 ha raggiunto i 50 milioni di euro. Cfr. www.callecall.it/Chisiamo/Storia.aspx.
[5] E’ una storia nota, che dura da svariati decenni. La bibliografia sull’utilizzo del Mezzogiorno come area di sbocco per i propri prodotti, come area di delocalizzazione per imprese del nord, eccetera è sterminata. Ci ricorda il fenomeno periodicamente la Svimez nei suoi Rapporti: «si può ragionevolmente affermare che in assenza di agevolazioni la quasi totalità delle imprese del Centro Nord non avrebbe scelto il Mezzogiorno come area d’insediamento» (Rapporto Svimez 2003 sull’economia del Mezzogiorno, pagg. 672 – 691)
[6] «Come altre regioni del Mezzogiorno, grazie a finanziamenti Ue, la Calabria ha erogato bandi per la regolarizzazione dei lavoratori a progetto destinati ad imprese che li assumano per almeno tre anni; noi li abbiamo assunti a tempo indeterminato, e da novembre a marzo abbiamo concluso il progetto formativo». Intervista a U. Costamagna: “Giovani calabresi: co.co. pro al call center: l’incentivo c’è e noi li stabilizziamo” in Job 24 del Sole 24 ore (21/04/2009)
[8] Cfr. F.M. Pezzulli, “La solitudine del telefonista”, in Il Manifesto del 05/07/2013

Nessun commento:

Posta un commento