Le balle dei call center fanno scoppiare una pandemia: la Call centerite. Le cause dello sfascio e chi intasca le rendite
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Articolo di Domenico Murrone
15 novembre 2006 0:00
Non ho accettato, gli ho chiesto di inviarmi il contratto a casa; solo dopo avrei dato il mio consenso; invece scopro di essere gia' abbonato.
Mi hanno promesso il rimborso della cifra contestata, invece mi hanno staccato la linea. E' da un anno che attendo la trasformazione della linea da business a privata, ogni volta mi dicono "tra 48 ore", intanto continuo a pagare. E' la norma, in Italia, vivere queste esperienze coi call center delle aziende telefoniche. Una normalita' che ha portato milioni di italiani ad ammalarsi di call centerite: un'infezione che porta alla rottura dei timpani, all'esaurimento del cervello e alla perdizione dell'anima, come testimoniano le centinaia di segnalazione telefoniche e le migliaia di mail che ci vengono inviate da utenti che si lamentano delle balle raccontate dai venditori di Telecom Italia, Tele2 e di tutti gli altri gestori telefonici: promettono rapida soluzione ai problemi tecnici e amministrativi, tariffe leggere, facilita' di attivazione e di recesso da straordinari servizi, promesse che puntualmente vengono disattese quando arriva la fattura. Una delle cause dello sfascio Outsourcing, significa acquisire risorse fuori dall'organizzazione, cioe' affidare parti del processo produttivo ad altre imprese. L'operazione e' un'evoluzione dell'organizzazione aziendale, che parte dal presupposto che un'impresa piu' snella riesca meglio a reagire alle mutanti condizioni di mercato, garantendosi la necessaria flessibilita'. L'outsourcing e' uno degli elementi della qualita' totale o toyotismo (dal nome dell'azienda che la sperimento' su larga scala). Si tratta di una filosofia produttiva inventata dai giapponesi nell'immediato Secondo dopoguerra che ha portato il Paese nipponico alla supremazia tecnologica, che si e' poi diffusa con molto ritardo anche in Italia, in sostituzione del taylorismo o fordismo(anche in quel caso fu una casa automobilistica a fare da apripista), che era la teoria vincente dall'inizio del XX secolo. Purtroppo, per molte imprese italiane, l'outsourcing ha rappresentato solo una cosa: ridurre il costo del personale per reagire alle rigidita' del mercato del lavoro.Rigidita' contrattuali o legislative (vedi il blocco delle assunzioni negli enti pubblici), perdendo di vista altre opportunita'. Quest'errata visione non di rado comporta -non solo il peggioramento dei rapporti con gli utenti/consumatori- ma anche, paradossalmente, l'aumento dei costi, a causa delle diseconomie generate dall'intreccio di contratti di appalto e subappalto. L'outsourcing di Benetton Prima che si rifugiassero sotto il cappello delle concessioni pubbliche, con l'acquisizione di Societa' Autostrade, i Benetton hanno avuto una capacita' innovativa che ha portato l'azienda dalla provincia veneta di Treviso a vendere abbigliamento in tutto il mondo. La loro innovazione ha a che fare proprio con l'outsourcing: per assicurarsi una capillare e qualificata distribuzione in migliaia di punti vendita, anziche' aprire direttamente negozi, hanno applicato su larga scala i contratti di franchising (tipologia contrattuale sconosciuta nell'Italia degli Anni 70). Si sono assicurati la necessaria flessibilita' aziendale, concedendo opportunita' di business ad altri soggetti imprenditoriali (i titolari dei negozi), che in cambio si sono assunti una parte del rischio d'impresa. Una storia di successo che in tanti altri casi e' stata replicata. . e l'outsourcing di Telecom Italia Purtroppo non nel caso di Telecom Italia che ha esternalizzato con pessimi risultati i servizi di assistenza telefonica, di manutenzione della rete e quello di vendita dei prodotti/servizi. L'applicazione pratica che l'outsourcing ha avuto e' sotto gli occhi di tutti. Come Telecom, molte aziende hanno esternalizzato al solo fine di ridurre i costi. Nel settore della telefonia, poi, l'impatto e' stato condizionato dall'assetto del mercato con un operatore stradominante e culturalmente abituato ad avere rendite, non profitti, generando un humus truffaldino sconosciuto in altri paesi. L'assistenza alla clientela negli States Negli Stati Uniti il primo call center fu imposto alla Ford da un giudice nel 1968, su richiesta di un'associazione di consumatori. Dall'imposizione iniziale, pero' si e' passati alla valorizzazione del servizio che e' diventato uno dei componenti del prodotto. Insomma non si acquista solo un pc o un'auto ma anche quel che viene dopo. Cosi', negli Usa, il call center e' l'immagine stessa dell'azienda, ancor piu' importante della pubblicita'. Un centro assistenza che non funziona e' una discriminante per la scelta dell'operatore. Di conseguenza, le aziende spendono soldi per attrezzare un call center efficace, non per puro dovere legislativo o al solo scopo di piazzare prodotti/servizi. La maggior parte dei call center sono gestiti in outsourcing, ma l'obiettivo principale e' quello di soddisfare il cliente. L'assistenza alla clientela in Italia: a colpi di spot Una regola d'oro di cui fanno tesoro le aziende che funzionano e' quella di fidelizzare. Gli esperti stimano che fidelizzare un cliente costi sette volte meno che acquisirne uno nuovo. A parole anche in Italia riconoscono la validita' di questo principio. Purtroppo solo a parole. Infatti, le aziende percepiscono i call center o i centri assistenza come dei costi inutili e per rientrare nei budget occorre che vendano di tutto, soprattutto balle. Un problema culturale che porta ad attuare delle scorciatoie. Per migliorare l'immagine aziendale e creare una percezione positiva rispetto a un marchio vengono investiti milioni di euro in campagne pubblicitarie. L'Aduc ha innumerevoli volte denunciato l'inutile spreco di risorse di Trenitalia e/o Enel, aziende monopoliste che potrebbero dirottare i soldi nel miglioramento dell'assistenza alla clientela. Sono investimenti non sbagliati in assoluto, infatti rispondono a una precisa esigenza della dirigenza delle societa', a questi scopi non e' estraneo l'obiettivo di riversare milioni di euro nelle casse degli organi d'informazione che in questo modo saranno piu' "attenti" prima di denunciare gli sfasci gestionali delle imprese. Parente di questa logica sono anche le paginate pubblicitarie sui giornali e i mega spot televisivi di Telecom Italia. L'ex monopolista, tra l'altro, e' sponsor di tutte le trasmissioni sportive che parlano del campionato di calcio di Seria A. Gli ordini impartiti agli operatori dei call center Sono scelte "strategiche" che indicano il poco rispetto per chi porta ricavi alla societa' e la pochezza morale e pratica dei mega manager che affidano le sorti aziendali ai mezzucci truffaldini, potendo contare su una protezione di fatto del loro business. Al pari del settore ferroviario ed energetico, infatti, la telefonia e' tutt'altro che liberalizzata, non potendo il cliente scegliere liberamente. Cosi' accade che l'assistenza al cliente possa essere trascurata, anzi, sfruttata per "intortarlo" ancor di piu'. Ai clienti che hanno subito un addebito a causa di un numero a valore aggiunto (899, 892, satellitare, ecc.) Telecom Italia "consiglia" di attivare un contratto Adsl per essere tutelato contro queste truffe. Cioe': non riuscendo a prevenire le truffe (anche perche' il gestore ci guadagna il 30%) se si vuol evitare danni occorre dare altri soldi per attivare un servizio che probabilmente non e' necessario. Senza commenti. Nei call center di Tim, fino a qualche mese fa, l'"ordine" imperativo dato dai responsabili agli operatori telefonici era "evitate la richiamata" . Per il telefonista il meccanismo di gratificazione, anche economica, era: risolvi subito il problema ed evita che si perda tempo per lo stesso motivo. In seguito le parole d'ordine sono cambiate: "pompate l'offerta XY" . Tradotto: ti premiamo se riesci a far attivare al cliente l'opzione 1000 minuti, o la Tutto gratis e altre amenita' truffaldine. Altre raccomandazioni fatte agli operatori, non solo di Tim, sono: evitate di descrivere i punti critici dell'offerta. I lavoratori dei call center Le magagne, seppur intricate, hanno cause ed effetti ben inquadrabili. Quando si parla di lavoratori atipici (collaboratori a progetto, ex cococo) si fa spesso riferimento agli operatori dei call center. Questi vengono inquadrati contrattualmente in modo del tutto improprio: di progetto nel rispondere a decine di telefonate non c'e' nulla. Si tratta a tutti gli effetti di lavoratori che effettuano lavoro dipendente con forme di incentivi vari. Gli stipendi mensili sono bassi e la qualificazione e la gratificazione dei lavoratori rasenta lo zero. Cosi' il lavoro flessibile si e' tradotto esclusivamente in una "cosa" negativa: il precariato. Insomma, si e' seguita la logica del risparmio, senza intravedere le opportunita' di business che tutte le innovazioni aziendali portano. In Italia questi lavoratori si sentono discriminati e sono un emblema della decadenza economica; al contrario Paesi come l'Irlanda e l'India si stanno arricchendo anche grazie all'industria dei call center, che forniscono servizi alle imprese di tutto il mondo, tramite, evidentemente, operatori qualificati. Riepilogo Le innovazioni sono positive. L'outsourcing ha migliorato la produttivita' di molte aziende. In Italia l'applicazione e' stata sparagnina e poco producente, i lavoratori dei call center sono insoddisfatti non solo economicamente e per raggranellare qualche spicciolo in piu' sono disposti a vendere balle. Visto che le aziende spesso sono "protette" (Telecom Italia in primis) a pagare sono solo i clienti che sono obbligati a sottostare a questo regime fatto anche di Autorita' di controllo del tutto inefficaci. Gattopardi e l'Illustrissimo Prefetto di Vigata Una ventina d'anni fa per avere una linea telefonica occorreva chiamare la Sip. Per velocizzare la pratica (non meno di 30 giorni, comunque), occorreva avere un amico che lavorava nell'allora azienda statale. Andrea Camilleri, in un divertente libro, La concessione del telefono, racconta di un signore siciliano che per ottenere la linea telefonica, scrive una lettera all'Illustrissimo Prefetto di Vigata, affinche' interceda in suo favore. L'Italia del XXI secolo non e' molto diversa. Nonostante migliorino tecnologie e tecniche organizzative in questo Paese poco si modifica, rimanendo fedele al suo animo gattopardesco. Ma fateci caso, piu' un'azienda e' legata a fondi o leggi statali, piu' i meccanismi corrosivi infettano le tasche degli italiani. E si trovano sempre "signori" che sanno approfittare della situazione, magari spacciandosi per campioni nazionali di imprenditoria e modernita'. Che poi porti la faccia elegante di Marco Tronchetti Provera o sia "brutto e cattivo" come Stefano Ricucci, poco cambia: la linea telefonica e' infettata dalla call center-ite che sfila via milioni di euro dalle tasche degli italiani per riversarli nel pozzo senza fondo della mala gestione. |
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venerdì 20 marzo 2015
LE BALLE DEI CALL CENTER
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