I moderni schiavi “usa e getta”
Nel mondo ci sono 36 milioni di schiavi. Sono i numeri shock del rapporto Walk Free Fondation, una ong australiana che ogni anno fotografa la condizione della schiavitù nel mondo ed elabora il Global Slavery index. Nonostante tutti i paesi del mondo abbiano reso la schiavitù un reato, tranne la Corea del Nord, sono emerse nuove forme di sfruttamento. Lavoro forzato, matrimoni forzati, traffico di esseri umani e sfruttamento sessuale sono le pieghe che ha preso la schiavitù moderna, il cui 61% è concentrato in 5 paesi dei 167 analizzati.
Complessivamente, rispetto allo scorso anno, la percentuale degli schiavi nel mondo è aumentata del 23%. Un esercito di persone che produce ogni anno beni per oltre 150 miliardi di dollari. Solo in Asia, più di 23 milioni di persone sono vittime della schiavitù. Ed è proprio grazie a queste nuove forme di schiavitù che molti stati stanno scalando la graduatoria dei Paesi più forti e più industrializzati del pianeta. Oggi la schiavitù contribuisce alla produzione in almeno 122 Paesi.
Gli schiavi fanno sempre parte dei settori più poveri e vulnerabili della società. Si tratta in genere di appartenenti a gruppi con uno status sociale inferiore, a minoranze etniche o religiose, a popolazioni indigene o a gruppi nomadi, molto spesso donne e bambini. Essi però non diventano schiavi a causa della loro appartenenza, ma è questa che li predispone alla povertà e allo sfruttamento e quindi alla schiavitù. In passato, quando la schiavitù era legalizzata, il proprietario possedeva “legalmente” gli schiavi che aveva spesso comprato ad un alto costo d’acquisto. Era quindi nel suo interesse “conservarlo” nel miglior stato possibile, in modo da poter rifarsi del suo investimento. Ora gli schiavi, anche se sono resi e mantenuti tali sotto la minaccia costante della violenza, e spesso fisicamente imprigionati, non sono ‘proprietà legale’ di nessuno, ma sono costretti a lavorare per qualcuno senza compenso fino allo sfinimento. Sono schiavi “usa e getta”: costano poco, c’è ne sono in abbondanza, e quando non “funzionano” più si abbandonano a loro stessi. Altri li sostituiranno.
I numeri. Secondo il Global Slavery Index in testa alla classifica per numero di schiavi c’è l’India con più o meno 14 milioni e 290 mila persone; poi c’è la Cina con 3,24 milioni, quindi il Pakistan con circa 2 milioni, e Uzbekistan 1,2 milioni. A seguire la Russia, con 1,05 milioni, per lo più lavoratori stranieri sprovvisti di contratto e impiegati nei depositi di legna, nel tessile, nell’agricoltura.
Il triste primato lo detiene la Mauritania, che è il primo paese al mondo per percentuale di abitanti ridotti in schiavitù: il 4% su 3 milioni e mezzo di abitanti. Qui gli arabi berberi, detti i mori bianchi, esercitano un “diritto di schiavitù” sui musulmani di colore, i mori neri.
Le percentuali. Se si confrontano i dati in percentuale con il totale della popolazione, i risultati cambiano anche se di poco. In India, l’incidenza della schiavitù è dell’1,14% sull’intera popolazione. Al secondo posto l’Uzbekistan con il un tasso del 3,9%, dovuto ai cosiddetti lavoratori forzati di stato. Su oltre 5 milioni di lavoratori del cotone, che frutta al Paese più di 1,8 miliardi di dollari dagli Stati Uniti per la sua vendita, 1,2 milioni di persone sono costrette ai lavori forzati nei campi di raccolta.
Poi arrivano Haiti e il Qatar, rispettivamente con un tasso di incidenza del 2,3% e dell’1,36%.
Qatar. In Qatar la schiavitù si traduce nella negazione delle tutele per i lavoratori provenienti dall’estero. A farne le spese sono soprattutto le donne che vengono assunte come domestiche. Si stima siano oltre 84 mila che ogni anno giungono a Doha dall’Asia meridionale e sud-orientale, dall’Indonesia al Nepal. Le promesse di un lavoro ben retribuito e tutelato vengono puntualmente disattese e per loro si aprono le porte della schiavitù. I loro datori di lavoro sequestrano passaporto e permesso di soggiorno, e i ritmi di lavoro sono massacranti. Complici le leggi del paese che non pongono limiti di orario per i lavori domestici, si arriva a lavorare anche 100 ore la settimana senza pause o giorni di riposo. Spesso i datori di lavoro abusano sessualmente delle domestiche e le malmenano: chi denuncia l’accaduto viene punita e resa colpevole di relazione extraconiugale. Il Qatar si appresta a ospitare il mondiale di calcio 2022. Per realizzarlo è prevista la costruzione di infrastrutture per 15 miliardi di euro. Costruite da lavoratori migranti pagati meno di un euro l’ora e costretti a dormire in sette per stanza in baraccopoli prive di servizi. Non ricevono lo stipendio da oltre un anno. Chi protesta è licenziato senza che gli siano restituiti i documenti per espatriare, o è addirittura arrestato.
Haiti. Ad Haiti il 78% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. Qui il 2,3% è ridotto in schiavitù: sono soprattutto bambini delle zone rurali che vengono mandati dalle loro famiglie in altre di città per poter avere una base di scolarizzazione e un futuro. Tutto questo è solo un miraggio: nella realtà i bambini vengono sfruttati per pesanti lavori domestici in pessime condizioni igieniche.
E l’Europa? Se paesi come Svezia e Olanda, insieme agli Stati Uniti, sono i più attivi nel contrastare le nuove forme di schiavitù, l’Europa non è esente dal fenomeno: si stima che ci siano circa 566 mila persone sottoposte a forme di schiavitù, la maggior parte delle volte si tratta di immigrati clandestini. Molti di loro si trovano in Paesi come il Kosovo, la Turchia o la Bosnia Erzegovina, ma anche in Paesi insospettabili come la Germania (dove sono più di 10.000) o in Polonia (oltre 70.000). L’Italia si colloca al 146esimo posto su 167, con 11.400 persone che per condizioni di lavoro possono essere considerate schiavi, pari allo 0,19%. Un paio di anni fa erano “solo” 8 mila.
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