ASPASIA
I limiti ignorati e il fallimento dell’idea di progresso
La condizione umana è inscritta dentro dei limiti. La nostra intelligenza ci consente di superare una grande varietà di ostacoli ma non ci autorizza a fare tutto nè a conoscere tutto. La scienza e la tecnologia, pur avanzate che siano, non ci permettono di travalicare limiti che sono insiti nella natura umana e la finitezza del pianeta, le cui risorse (spesso lo dimentichiamo) non sono illimitate, ci impone di sottostare ai dati fisici, biologici e geologici. L’ignoranza della conoscenza dei limiti è alla base dell’attuale triplice crisi (economica, sociale ed ambientale).
Scrive Serge Latouche nel suo ultimo saggio “Limite” (2012, Bollati Boringhieri): “I limiti economici chiaramente sono strettamente correlati con i limiti ecologici. Se l’ecosistema esplode, è proprio perchè l’economia della crescita è fondata sull’illimitatezza. Tuttavia, questo “sempre di più” su cui si basano il sistema capitalistico e la società dei consumi non avrebbe potuto affermarsi se la scienza e la tecnica non avessero creato mezzi inauditi di sfruttamento e di distruzione della natura e non avessero fatto intravedere la possibilità di una potenza infinita”.
I nostri nonni contadini, invece, erano ben consapevoli dell’ esistenza di limiti, poichè nella civiltà preindustriale non si tentava di superarli, bensì si viveva in armonia con essi, la sobrietà e la parsimonia erano valori in quanto permettevano di mantenere tale armonia. Al contrario, fa parte della cultura del progresso pensare che si possano superare limiti di qualsiasi genere: inquinare l’acqua perchè ce ne sarà di nuova pulita, uccidere animali e abbattere alberi perchè rinasceranno, e se questo non è possibile oggi lo sarà in futuro grazie a nuove scoperte scientifiche o, perchè no, alla colonizzazione di nuovi pianeti da sfruttare. La società dei consumi ha dunque elevato l’eccesso e la mancanza di prudenza a valore assoluto. Le catastrofi tecnologiche – da Chernobyl ai Concorde che cadono ai megaponti che crollano – i rischi ambientali e le minacce derivanti dalla chimica e dalla biotecnologia, i crack economici generati dall’anarchia del libero mercato finanziario, l’inquinamento dei suoli, dell’acqua e dell’aria, l’effetto serra sono tutti prodotti globali di azioni che hanno sfidato una qualsivoglia prudenza, sotto il segno di una razionalità moderna e calcolatrice alla ricerca del massimo profitto. Sono questi i tratti salienti di quella che il sociologo tedesco Ulrick Beck chiamò già negli anni ’80 “società del rischio”, una società globalizzata in cui le persone ogni giorno si trovano ad affrontare i rischi prodotti dalla stessa modernità, che travalicano i confini nazionali e di classe.
In conclusione è chiaro che la certezza che più di altre crolla è quella affidata al “progresso”: questo veniva definito come una freccia, la freccia lineare del tempo orientata verso un avvenire radioso e quest’avvenire si definiva soprattutto in base alle certezze della scienza e della tecnica. Oggi evidentemente le cose non stanno più così, se mai in effetti lo sono state. L’idea di progresso lineare, inarrestabile ha ormai perso peso fino ad annullarsi. E qui risuonano le parole attualissime di Adorno: “Si potrebbe dunque asserire che il progresso si attua veramente là dove finisce”. La nuova idea di progresso dovrà dunque obbligarci alla prudenza, alla scelta selettiva, ad un esame minuzioso delle possibili conseguenze delle nostri azioni. La “ragione”, quella baconiana, moderna, scientifica e tecnologica dovrà necessariamente lasciare il posto alla “ragionevolezza”.
La “ragione”, quella baconiana, moderna, scientifica e tecnologica dovrà necessariamente lasciare il posto alla “ragionevolezza”.
E lavoriamo per…
Nel nostro piccolo, ovviamente.