mercoledì 13 novembre 2013

depura acque radioattive

Lo strumento che depura acque radioattive "E' iniziato tutto nel garage di casa pensando alla sete degli africani"

Un potabilizzatore portatile diventa brevetto a peso d'oro. Attorno al geniale ingegnere un gruppo di dodici azionisti che credevano nell'ambiente
di Enrico Fovanna
Adriano Marin, ingegnere padovano che ha ideato la tecnologia di depurazione del nucleare presentata a Ferrara
Adriano Marin, ingegnere padovano che ha ideato la tecnologia di depurazione del nucleare presentata a Ferrara

Padova, 31 ottobre 2013 - Adriano Marin è un uomo con i piedi per terra, come molti ingegneri. Ma dal giorno in cui ha capito di avere tra le mani una “bomba”, la sua vita non è la stessa. La sua invenzione infatti potrebbe cambiare le sorti dell’ambiente, ma anche creare enormi prospettive di lavoro. «Nell’ambito di smantellamento e bonifiche di siti eredità dell’industria nucleare - ammette - sono davvero immense». Ideata per potabilizzare l’acqua nei villaggi del terzo Mondo, la macchina non accantonerà certo la premessa umanitaria. «Ai poveri - dice - la potremmo anche regalare. Ma per il momento preferiamo non farla circolare troppo, non vogliamo regalare la tecnologia alle multinazionali».
L'idea di partenza, conferma, era ottenere l’acqua pulita senza l’impiego di filtri o additivi chimici. Si cercava qualcosa che funzionasse con qualunque agente inquinante, elementi volatili, liquidi, batteri, virus o solidi. «Tre anni dopo aver avviato il progetto nel 2006, facendo le analisi all’Arpav, ho capito che la macchina poteva avere applicazioni spettacolari, anche se non avevo ancora intuito quali. Sarebbe successo solo l’anno scorso, quando grazie agli esperimenti con contaminanti radioattivi, sono emerse tutte le sue potenzialità. In quel momento abbiamo capito bene anche come funzionasse. E questo è il segreto industriale, anche se siamo nel campo della pura fisica classica, senza nulla di esoterico».
Con l’ultimo test a Pavia si è voluto addirittura esagerare, provando a simulare un livello di contaminazione seimila volte superiore a quello dell’acqua di raffreddamento del reattore di Fukushima». Ed è andata benissimo.
I prossimi passi? «Abbiamo costituito una SpA, con dodici soci finanziatori del Nordest che ora vogliono sviluppare l’invenzione soprattutto nell’ambito di smantellamento e bonifiche di siti nucleari, dove i costi però sono assai elevati e le problematiche enormi. Stiamo costruendo il dimostratore, di dimensioni maggiori, che in primavera verrà portato in un deposito nucleare privato, dove eseguirà un test su 45 metri cubi di acqua contaminata da isotopi radioattivi».
Lo scopo? Dimostrare che, sullo stesso principio, si possono fare macchinari di qualunque grandezza. «Uno dei più grossi problemi nel nucleare - precisa infatti Marin - sono i residui liquidi che rimangono all’interno delle vasche del nocciolo radioattivo». Oggi quell’acqua viene stoccata tale e quale in depositi geologici, perché non si conoscono metodi per ridurne il volume. «Noi possiamo abbattere il volume delle scorie liquide di almeno 5 mila volte nel caso di Fukushima, in altri  anche molto di più. I primi esperimenti, su contaminanti radioattivi, li abbiamo iniziati proprio appena dopo l’incidente con il Cnr di Padova».
di Enrico Fovanna
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