venerdì 25 ottobre 2013

la corte di re giorgio

Pietro Priete Biasiori ha condiviso la foto di Tutti con Marco Travaglio.
L’arco incostituzionale (Marco Travaglio). Da Il Fatto Quotidiano del 25710/2013. foto by Nico M. Spiace di doversi occupare ogni giorno del presidente della cosiddetta Repubblica, ma non si riesce più a stargli dietro. Ieri Napolitano ha ricevuto i ministri Dario Franceschini (Rapporti col Parlamento) e Gaetano Quagliariello (Riforme istituzionali), la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Anna Finocchiaro e i capigruppo della maggioranza Zanda (Pd), Schifani (Pdl) e Susta (Sc). Tema dell’avvincente simposio: la riforma del Porcellum, votato nel 2005 da Pdl e Udc (ora Sc), oltreché dalla Lega, e tenuto in vigore dal centrosinistra (ora Pd) nel 2006-2008. Ora chi lo impose e lo conservò, con agile piroetta, lo vuole cambiare. Dopo otto anni. Ma, siccome le leggi elettorali sono materia del Parlamento e non del governo, e tantomeno del capo dello Stato, sorge spontanea una domanda: che ci facevano alla riunione il presidente della Repubblica e due ministri? E perché non c’erano i rappresentanti della forza politica più votata in Italia, il M5S, e poi di Lega, Sel e Fratelli d’Italia? Non erano invitati. E perché? Non hanno anch’essi diritto di dire la loro sulla riforma elettorale? In quale democrazia parlamentare la maggioranza e il governo si riuniscono col capo dello Stato per decidere le regole delle future elezioni all’insaputa delle opposizioni? È forse nato un nuovo “arco costituzionale” che stavolta non esclude i fascisti, come quello degli anni 70, ma tutti gli oppositori in quanto tali? E chi l’ha deciso, e perché, e come si è permesso? La scena ricorda quella, altrettanto triste e imbarazzante, della grande adunata al Quirinale del 6 giugno, quando Napolitano riunì a porte chiuse, col solito Quagliariello a capotavola, i 35 “saggi” (più 7 “esperti di diritto”) per benedire la controriforma della Costituzione, a partire dallo scassinamento dell’unico articolo che dovrebbe essere immodificabile: il 138. Saggi scelti da Letta & Napolitano col manuale Cencelli alla mano: un tot di saggi fedeli al Colle, un tot di obbedienza Pd, un tot di osservanza Pdl (e persino Lega), un tot di area centrista, un paio graditi a Sel e ovviamente nessun rappresentante dei 5Stelle. L’adunata, col presidente a un capo del tavolo e il ministro delle Riforme all’altro, ricordava almeno fotograficamente quelle del Ventennio a Palazzo Venezia, con Sua Eccellenza Benito Mussolini e quando lo invitavano Sua Maestà Vittorio Emanuele III, che ogni tanto ricevevano gli accademici d’Italia. È vero che al posto di Quagliariello c’era Gentile e al posto di Violante c’era Marconi. Ma l’impressione che si dava, e che si voleva dare, era quella di un mondo della cultura irreggimentato, arruolato e allineato al regime. Ed è purtroppo lo stesso messaggio che esce oggi dalle foto di gruppo dei saggi stretti a corona attorno ai due massimi simboli del potere: il Presidente e il Governo. Uomini della cultura e del diritto che dovrebbero simboleggiare la libertà di ricerca, di pensiero e – se non è troppo ardire – di critica si intruppano militarescamente come soldati in battaglia agli ordini dei politici. Il fatto poi che questi signori non siano stati eletti da nessuno, e che la maggioranza non abbia chiesto né dunque ricevuto dagli elettori alcun mandato a cambiare mezza Costituzione e l’art. 138, rende più grave e più triste quel che sta accadendo. Ma tutto accade alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti. E nessuno vi nota nulla di strano. Nemmeno quando, spiritoso, Napolitano rammenta (agli altri!) “la dignità del Parlamento” e intanto si pensa addirittura di cambiare la legge elettorale per decreto (del governo!). E pazienza se i decreti in materia elettorale sono proibiti dalla legge Spadolini n. 400 del 1988, art. 15 c. 2. L’alibi è già pronto: la mannaia della Consulta, che il 3 dicembre esamina il Porcellum. L’ennesima “emergenza” creata ad arte, come tutte le altre che da tre anni paralizzano quel che resta della democrazia ai piedi del Colle. Cioè del Capo dello Stato di Necessità, Salvatore della Patria anche a nome di chi non ha alcuna intenzione di farsi salvare da lui.

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