Gli imprenditori vanno all’Aja: «I suicidi di Stato siano crimini contro l’umanità»
Confedercontribuenti chiede una commissione d'inchiesta internazionale sui suicidi di Stato. I piccoli alzano la testa, e non vogliono più sentir parlare di Equitalia
I suicidi di Stato come morti sul lavoro e crimini contro l’umanità perpetrati, subdolamente, dallo Stato. È questa ladenuncia che Confedercontribuenti ha fatto oggi, spedendo un atto ufficiale alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, domandando la creazione di una «commissione d’inchiesta internazionale» che accertil’entità del fenomeno dei suicidi dovuti alla crisi in Italia. La richiesta è stata lanciata nell’ambito di un evento diPadova (città scelta per testimoniare l’enorme prezzo in termini di vite umane che il Veneto sta pagando) cui hanno partecipato imprenditori e lavoratori che non hanno intenzione di “farsi suicidare” dalla morsa di Equitalia.
I dirigenti dell’associazione, a partire dal presidente nazionale Carmelo Finocchiaro, hanno deposto una corona sul monumento ai caduti e osservato un minuto di silenzio in onore dei morti della crisi e delle tasse. Ha seguito una conferenza stampa in cui è stata presentata una serie diproposte per la crescita indirizzata a una classe politica sempre più sorda: dall’accesso al credito, al pagamento dei debiti della Pa, dalla riduzione delle imposte (arrivate al 70%) reale a unamoratoria sulle cartelle esattoriali per cui Equitalia (di cui si chiede l’abolizione) ha di recente stabilito l’aumento del 15% degli interessi di mora. E tanto altro.
Simona Pedrazzini ha partecipato in qualità di responsabile Confedercontribuenti per l’Emilia Romagna. Anche lei, come tante altre persone, è una piccola imprenditrice che vive quotidianamente sulla propria pelle le conseguenze della crisi e di una politica fiscalistaassassina che lo «Stato ladro» porta avanti a scapito dei più deboli. Per questo nel 2011 ha deciso difondare, su Facebook, un gruppo di ascolto e sostegno reciproco chiamato «Piccoliimprenditori e suicidi di Stato» per raccogliere le voci di chi cercava aiuto. «L’idea – ci dice – è nata in un momento di grande difficoltà personale. Quei momenti in cui ti sembra tutto perduto e non vedi una luce in fondo al tunnel». Simona però non ha ceduto agli esiti estremi a cui l’estrema sofferenza può portare e ha deciso di condividere la propria storia sul social network creando un gruppo chiuso in cui ognuno può raccontare la propria esperienza.
«Prima pensavo quasi di essere l’unica a soffrire mentre tutti gli altri erano in vacanza o al ristorante. La condivisione delle storie e del dolore mi ha dato la sensazione di non esseresola, ma di vivere una situazione comune indipendente dalla mia volontà». Pedrazzini ha avuto così modo di conoscere tanti «fratelli e sorelle», imprenditori o lavoratoridipendenti: «tra loro – ci dice confutando un mantra della sinistra -non c’è differenza: quando un imprenditore fallisce anche il dipendente si trova senza lavoro. E ci si ritrova tutti sulla stessa barca». Oltre a dare un supportopsicologico l’imprenditrice vuole anchedenunciare i suicidi, dar voce a chi ne ha ancora e a chi non ne ha più. Ha contribuito a creare, su Radio24, il programma “Disperati mai” in cui si parlava di storie estreme di imprenditori vessati. «Poi dopo appena due mesi è stato chiuso perché secondo alcuni istigava al suicidio. Come se uno sisuicidasse perché sente altri che lo fanno e non perché, suo malgrado, vive situazioniinsopportabili. Non tutti sanno cosa vuol dire vivere ogni santo giorno ogni ora del giorno nelterrore di una telefonata, un campanello che suona, una lettera che potrebbero contenere unacartella esattoriale o il messaggio di un pignoramento. Se non paghiamo è perché non abbiamo soldi non perché siamo evasori. Eppure ce li chiedono e se non li diamo ci pignorano la prima casa; ai lavoratori in proprio sequestrano gli attrezzi del mestiere: pensano così che uno possa continuare a lavorare e pagare i suoi debiti?».
Ora, tramite Confedercontribuenti, mette a disposizione un avvocato che analizza i casi di insolvenza: «al 99% si scopre che dietro c’è un sistema di anatocismo dei conti bancari o di vera e propria usura». Simona vuole concludere con un messaggio di speranza: «La vita è la cosa più importante cheabbiamo e non dobbiamo permettere a nessuno, soprattutto a uno Stato ingiusto e irrispettoso, di togliercela». Una frase che ci ricorda da vicino quando ci aveva già raccontato Andrea Motta che viene da una storia, per molti aspetti, simile.
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