martedì 17 marzo 2015

AFFARI ROSSI


AFFARI ROSSI! NON SOLO LUPI E CL, NELL’INCHIESTA SULLA CORRUZIONE SPUNTANO ANCHE DALEMIANI E BERSANIANI, DAL CAPO DELLA SINISTRA AUTOSTRADALE BARGONE ALL’ESPONENTE DEL “TORTELLO MAGICO” EMILIANO FIAMMENGHI
Coop rosse, assessori e sindaci dell’Emilia-Romagna, la bersaniana calabrese Enza Bruno Bossio: nelle carte spuntano i legami di alcuni indagati con l’ala diessina del Pd. E Incalza, attaccato dal piddino Boccia sui giornali, dice al telefono: “Avvisiamo D’Alema”…
Giacomo Amadori per “Libero”
A volte ritornano. Lo scorso mese, con il rinvio a giudizio dell’ex zarina rossa, la dalemiana Maria Rita Lorenzetti, già presidente della Regione Umbria e della società Italferr del Gruppo Ferrovie dello Stato, con l’accusa di corruzione nelle vicende legate agli appalti dell’Alta velocità, sembrava che un certo sistema di potere, legato all’ex Pci, fosse definitivamente tramontato
Ma nell’ordinanza di ieri, con cui il gip di Firenze Angelo Antonio Pezzuti ha ordinato quattro arresti, risulta chiaro che il passato non passa mai e che resta in auge un intreccio gelatinoso tra affari, politica e cooperative rosse.
In un’intercettazione un indagato sostiene che una società di progettazione raccomandata dall’alto avrebbe ricevuto 70 milioni di euro senza aver svolto alcuna prestazione: «Siamo arrivati al massimo a 70 con la Cmc» dice e si riferisce alla potentissima Cooperativa muratori e costruttori di Ravenna, capace di pagare al raccomandato di turno 70 milioni per non lavorare.
Ma nell’inchiesta compaiono anche i nomi di altre coop o società già apparse in recenti inchieste, a cominciare dall’indagine sugli appalti inquinati dalla malavita organizzata in Emilia. Nell’ordinanza viene citato pure il gruppo Gavio, per le indagini attuali, ma anche per quelle del passato che coinvolsero uomini come Primo Greganti (l’ex compagno G.) e l’ex presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, ex capo segreteria di Pier Luigi Bersani.
Tra i 51 indagati della procura di Firenze ci sono diversi uomini della vecchia guardia del Pci-Pds-Ds, oggi Pd, tra cui l’ex sottosegretario ai Lavori pubblici Antonio Bargone, pure lui dalemiano doc, attuale presidente della Società autostrada tirrenica (Sat); il ravennate Vladimiro Fiammenghi, consigliere regionale emiliano, considerato il braccio operativo in zona di Bersani e dell’ex governatore Vasco Errani; Alfredo Peri, sino a dicembre assessore regionale alla mobilità e ai trasporti dell’Emilia Romagna; ma anche Graziano Pattuzzi, ex sindaco di Sassuolo ed ex presidente della Provincia di Modena, piddino di rito margheritino.
È sotto indagine pure il presidente delle Ferrovie del Sud-est, l’avvocato Luigi Fiorillo, già coinvolto in un’altra inchiesta pugliese e considerato vicino agli ex Ds. Partiamo da Bargone: è accusato insieme con Vito Bonsignore, uno dei fondatori del Nuovo Centrodestra, di corruzione «in relazione alla promessa di dazione dell’incarico di direzione dei lavori a Perotti Stefano (uno degli arrestati ndr) da parte della consortile Ilia Or-Me, soggetto proponente il project financing per la realizzazione dell’autostrada Orte-Civitavecchia».
In cambio di quell’incarico il capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture, il potentissimo Ercole Incalza (arrestato pure lui) avrebbe «assicurato un trattamento di favore per la predetta consortile». La superstrada dovrebbe collegarsi con la cosiddetta Nuova Romea, in partenza da Mestre.
È questo un progetto della Gefip holding di Bonsignore: approvato nel 2003 dal governo Berlusconi, ha attirato gli appetiti della cosiddetta cricca del Mose e da anni piace assai a tutta la sinistra di governo, con le sue cooperative al seguito.
Una santa alleanza trasversale in nome degli affari ben fotografata da quella vecchia intercettazione in cui D’Alema confessava con il manager “rosso” Giovanni Consorte di aver perorato presso lo stesso Bonsignore la scalata di Unipol alla Bnl.
Non deve, quindi, stupire che sia Bargone, il plenipotenziario dell’ex lìder Maximo in Salento, il coindagato di Bonsignore nell’inchiesta fiorentina. Dal 2003 è presidente di quella Società autostrada tirrenica che nel 2011 è stata ceduta a imprenditori e coop vicine al centrosinistra. Dunque nel Pd Incalza sembra che potesse contare sull’ala dalemiana del partito e quando il deputato Francesco Boccia lo attaccò in un’intervista, se ne meravigliò e al telefono disse: «Avvisiamo D’Alema».
Ma di amici a sinistra ne ha pure altri. Per esempio pare in ottimi rapporti con il sottosegretario alle Infrastrutture Umberto Del Basso De Caro, ex avvocato di Bettino Craxi, che gli chiede un aiuto via sms: «Mi affido come sempre al tuo senso di responsabilità e alla tua esperienza della quale ho assoluto bisogno per realizzare l’opera». Il gip cita pure altri parlamentari che, alla bisogna, sostengono i progetti di Incalza, da Enza Bruno Bossio a Giorgio Santini.
C’è poi l’affare della cosiddetta autostrada cispadana, 67 chilometri tra Reggiolo-Rolo e Ferrara sud. La questione è sotto la lente d’ingrandimento dei carabinieri del Ros del generale Mario Parente dai tempi in cui investigavano sulla Lorenzetti e per questo affare a essere indagati ci sono adesso altri tre esponenti del Pd.
Tutti accusati di corruzione per il solito favore a Perotti. Un ruolo centrale lo ha Graziano Pattuzzi, presidente dell’Autostrada regionale cispadana (Arc) e consigliere d’amministrazione dell’autostrada del Brennero che con Coopsette dovrà realizzare il nuovo asse viario. Nel settembre del 2013, insieme con Lorenzetti, venne arrestato il geologo-militante Pd Walter Bellomo con l’accusa di aver provato ad accelerare l’ok al progetto da parte della Commissione per la valutazione d’impatto ambientale (Via), di cui era membro.
Ora Pattuzzi è sospettato di aver promesso l’incarico della direzione dei lavori al solito Perotti. Con lui si sarebbero adoperati Peri e Fiammenghi. Quest’ultimo è considerato uno dei massimi esponenti del cosiddetto “tortello magico” di Bersani, oltre che l’ufficiale di collegamento dell’ex segretario con i dalemiani in Regione.
I guai per il Pd, nell’inchiesta fiorentina, non sembrano finire qui. In un’intercettazione uno degli indagati rivela che una società avrebbe offerto, mimetizzandola, una consulenza da un 1,5 milioni per un appalto moscovita a tre professionisti, tra cui il figlio dell’ingegner Antonio Acerbo, ex manager di Expo 2015, già arrestato l’anno scorso a Milano e ora indagato a Firenze.
Nella stessa conversazione uno degli interlocutori spiega che Acerbo «aveva anche lo stesso tipo di richieste anche con le imprese aderenti alla Lega delle cooperative»: «Lui era amicissimo con la cooperativa di Modena, culo e camicia, non erano immuni i compagni e lui ci sapeva fare».

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