I segreti del tonno. Cosa si nasconde in una scatoletta?
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1. Introduzione
In Italia sono ancora troppo pochi i produttori di tonno in scatola che hanno deciso di adottare precisi principi di sostenibilità, senza contare che un marchio 100% sostenibile ancora non esiste.
Diversi studi realizzati da Greenpeace negli ultimi anni evidenziano il problema. Nel 2008 l’associazione ha condotto un’indagine nei supermercati italiani per verificare quali informazioni fossero disponibili sulle scatolette di tonno, scontrandosi con una totale mancanza di trasparenza: solo alcune indicavano in etichetta il nome comune della specie, mentre raramente vi erano informazioni sull’origine del tonno e nessuna sul metodo di pesca. Dopo il lancio della classifica “Rompiscatole”, nel novembre 2010 Greenpeace ha pubblicato i risultati di un test genetico condotto su 165 scatolette di tonno provenienti da vari Paesi, tra cui l’Italia, svelando come a fronte di un’etichetta del tutto generica (“ingredienti: tonno”) il consumatore poteva acquistare scatolette di uno stesso prodotto contenenti specie diverse di tonno a seconda del lotto e, a volte, addirittura specie diverse di tonno mescolate insieme. Tra le cause vi è certamente l’utilizzo di metodi di pesca distruttivi, come la pesca a circuizione con “sistemi di aggregazione per pesci” (FAD) che, catturando esemplari giovani, porta a confondere tonni di specie diverse, praticamente indistinguibili soprattutto dopo il congelamento e altri trattamenti a bordo del peschereccio. La maggior parte dei prodotti presenti sul mercato italiano non forniva alcuna garanzia né sul tipo di tonno che portiamo in tavola né sulla sostenibilità dei metodi di pesca.
Abbiamo subito chiesto all’industria del tonno e alle grandi catene di distribuzione di garantire piena tracciabilità e trasparenza ai propri consumatori e di impegnarsi a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile, ma cosa è successo in un anno?
Siamo andati a vedere se qualcosa è cambiato nell’etichettatura.
2. I segreti del tonno
Il tonno in scatola è la conserva ittica più comune nelle case degli italiani: ogni anno se ne consumano oltre 140 mila tonnellate. Ma pochi consumatori sanno che una pesca eccessiva, indiscriminata e troppo spesso illegale minaccia non solo le popolazioni di tonno ma l’intero ecosistema marino.
Specie a rischio
Un gruppo di ricercatori ha recentemente annunciato che ben cinque delle otto specie di tonno commerciali sono ormai a rischio di estinzione, secondo i criteri della lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Tra le specie più minacciate il tonno rosso (Thunnus thynnus), ormai sull’orlo del collasso, e il tonno obeso (Thunnus obesus), classificato come vulnerabile, ovvero a rischio nel medio periodo. Il tonno pinna gialla, il più consumato in Italia, è tra le specie sotto pressione e secondo i ricercatori ormai sovrasfruttato o vicino al sovrasfruttamento. Se la gestione della pesca seguisse il principio di precauzione, come auspicato dal Codice di Condotta FAO per la Pesca Responsabile, lo stato attuale degli stock di pinna gialla avrebbe da tempo dovuto far scattare misure gestionali restrittive per garantire la sostenibilità della pesca. Purtroppo la mancanza di una gestione efficace e l’utilizzo diffuso di metodi di pesca che catturano esemplari immaturi minacciano il tonno preferito dagli italiani.
Metodi di pesca distruttivi
Nonostante esistano metodi di pesca che hanno un impatto minimo sull’ecosistema, come la pesca con amo e lenza, la maggior parte del tonno in scatola è pescato con metodi distruttivi quali i palamiti e le reti a circuizione con sistemi di aggregazione per pesci (o FAD).
I palamiti sono cavi di nylon (travi) lunghi fino a 100 chilometri ai quali sono attaccati un gran numero di lenze più corte (braccioli), fino a 3.000, che terminano con un amo. Oltre a catturare i tonni, i palamiti causano ogni anno la morte di migliaia di uccelli marini, mante, squali e tartarughe, tra cui specie a rischio di estinzione. Sui pescherecci è raro trovare osservatori indipendenti per controllare che vengano usate misure volte a minimizzare l’impatto di queste attività di pesca. Solo nell’Oceano Pacifico Centrale e Occidentale, la mortalità totale di squali è stimata tra 500 mila e 1,4 milioni di esemplari l’anno, sulla base di dati raccolti da osservatori a bordo di pescherecci che utilizzano palamiti.
I FAD sono oggetti galleggianti utilizzati per “concentrare” i tonni, che sono quindi facilmente pescati con ampie reti conosciute come reti a circuizione (purse seine). I FAD possono variare da semplici piattaforme di legno a complicati oggetti galleggianti dotati di un segnalatore satellitare e di un sonar per controllare la quantità di tonno concentrata sotto di essi. Il problema è che i FAD non attirano solo i tonni: per ogni 10 chilogrammi di tonni catturati si pesca un chilogrammo di altri animali “indesiderati” (catture “accessorie” o bycatch) tra cui esemplari giovanili di tonno, squali, mante – a volte tartarughe e delfini – e un’ampia varietà di altre specie. Tra gli squali catturati numerose sono le specie a rischio, come lo squalo pinna bianca e lo squalo balena. La pesca con reti a circuizione su FAD è una delle cause principali del sovrasfruttamento degli stock di tonno pinna gialla e tonno obeso, dovuto alla cattura di enormi quantità di esemplari giovani. Considerato il grande valore commerciale di queste specie, ucciderne esemplari immaturi non è solo un atto distruttivo da un punto di vista ambientale, ma una dimostrazione della vista corta del settore.
Con i FAD le catture accessorie aumentano di ben 10 volte rispetto alla pesca con reti a circuizione direttamente sui banchi di tonno. Considerando che l’utilizzo di questi sistemi è aumentato in modo vertiginoso e incontrollato negli ultimi anni, e che oggi le catture con FAD rappresentano circa il 70% delle catture di tonno con reti a circuizione, è facile intuire il grave impatto sulle risorse e sull’ambiente. Si può stimare che le catture accessorie totali dovute all’utilizzo di FAD potrebbero superare 182.500 tonnellate ogni anno, una quantità pari a quanto servirebbe a riempire oltre 2 miliardi di lattine di tonno, ben più di quanto viene annualmente consumato nel nostro Paese.
Pesca illegale
A una pesca eccessiva e svolta con metodi distruttivi si aggiunge il grave problema della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN). Nel Pacifico, da dove arriva la maggior parte del tonno, circa il 30% delle catture annuali proviene dalla pesca illegale. I danni che ne derivano incidono sugli equilibri dell’ecosistema marino, ma anche sulle popolazioni locali, che vengono così derubate delle loro risorse.
3. Metodologia
I dati di questo rapporto sono stati raccolti tramite un monitoraggio condotto tra settembre e ottobre 2011 dai volontari di Greenpeace in 173 punti vendita in tutta Italia su oltre duemila scatolette. I volontari hanno registrato tramite apposite schede cartacee le informazioni presenti sulle etichette delle scatolette di tonno dei marchi più diffusi sul mercato italiano. I dati sono poi stati inseriti in un database e sottoposti ad analisi, in modo da definire per ogni marchio la percentuale di presenza di ciascuna informazione riportata in etichetta.
Si è concentrata l’attenzione sulle aziende valutate nella classifica “Rompiscatole” di Greenpeace, le cui etichette erano già state oggetto di monitoraggio nel dicembre 2008: queste aziende coprono la maggior parte del mercato italiano del tonno in scatola. Dei marchi monitorati, 22 in tutto, fanno parte sia quelli propri dei giganti della grande distribuzione, come tonno Coop, Auchan, Carrefour, Esselunga e Conad, sia quelli di aziende private. Sono state prese in considerazione varie tipologie di prodotti (come tonno all’olio d’oliva, tonno al naturale, etc.), sia in lattina che in vasetti di vetro, mentre non sono stati oggetto di questo lavoro i prodotti trasformati quali sughi pronti, insalate o prodotti in tubetto.
In ogni supermercato visitato è stata considerata una confezione per ogni tipologia di prodotto dei diversi marchi presenti. Questo ha portato ad analizzare numeri diversi di scatolette per i diversi marchi, a seconda della loro distribuzione sul mercato. Come atteso, il campionamento ha interessato un numero maggiore di scatolette dei marchi più diffusi, perfettamente in linea con l’obbiettivo dell’indagine che puntava a valutare complessivamente quello che il consumatore normalmente trova nel reparto tonno in scatola.
Si è valutata la presenza in etichetta delle informazioni necessarie ai consumatori per conoscere il tipo di tonno comprato e avere a disposizione elementi sufficienti per una scelta consapevole al momento dell’acquisto. È stata conteggiata la presenza in etichetta di: nome comune della specie di tonno, nome scientifico, area di pesca (oceano di origine e specifica area FAO), metodo di pesca, data di cattura, nome e Paese del produttore della scatoletta, nome e Paese del distributore. Sono stati considerati solo i dati visibili al consumatore al momento dell’acquisto sulla scatoletta o sul packaging, senza dover aprire eventuali cartoni o confezioni.
Un fattore da tenere in mente è che questo monitoraggio ha registrato le informazioni presenti sui prodotti in vendita nei supermercati al momento dell’indagine. Considerato che spesso le scorte dei supermercati durano mesi, per le aziende che hanno recentemente cambiato la propria etichettatura è possibile trovare sul mercato una situazione dinamica, almeno per un periodo di transizione, in cui coesistono prodotti vecchi e nuovi.
4. I risultati
Quando un consumatore mette nel carrello della spesa una scatoletta di tonno non sa davvero cosa compra. Il nostro monitoraggio rivela che in etichetta continuano a esserci ben poche informazioni.
Cosa (non) troviamo quando andiamo al supermercato?
- nel 52% delle scatolette analizzate non viene indicata la specie di tonno e l’unica informazione fornita è un generico “ingredienti: tonno”. Quando la specie è riportata in etichetta viene prevalentemente indicata con il nome comune, mentre il nome scientifico viene usato solo nel 12% dei casi. Quando indicata, la specie è nella maggior parte dei casi tonno pinna gialla, messa in evidenza sul cartone della confezione quasi fosse un marchio di qualità, ma poche volte indicata negli ingredienti, come richiederebbe una vera etichettatura trasparente;
- pochi ci dicono da dove arriva: nel 93% delle scatolette non vi è alcuna indicazione dell’area di pesca. Solo AsdoMar, Donzela, Coop e in parte Mareblu indicano chiaramente da che oceano arriva il proprio tonno;
- quasi nessuno specifica come il tonno è stato pescato: il metodo di pesca è presente solo sul 3% delle scatolette, per lo più le nuove confezioni del marchio AsdoMar;
- nessuno indica quando il tonno è stato pescato (data di cattura);
- il nome della compagnia che ha inscatolato il tonno è presente nel 39% dei casi e il Paese dove la lavorazione è avvenuta nel 59%. Tale informazione è chiara quando il prodotto è inscatolato in Italia, ma molto spesso manca quando il prodotto viene inscatolato in altri Paesi. È importante che sia sempre presente per non trarre in inganno il consumatore, che trovando solo il nome del distributore italiano potrebbe pensare che il prodotto arrivi dal nostro Paese.
5. L’alternativa esiste
Rispetto a due anni fa, quando Greenpeace Italia ha lanciato la campagna “Tonno in trappola”, la situazione delle scatolette di tonno non è molto migliorata. Per quanto alcune aziende abbiano fatto lo sforzo di aggiungere qualche informazione in più sulle etichette, invece del generico “ingredienti: tonno”, la maggior parte dei prodotti presenti sul nostro mercato non offre informazioni sufficienti per permettere al consumatore una scelta consapevole al momento dell’acquisto.
È relativamente frequente trovare sulle confezioni il nome comune della specie, dato riportato dalle aziende non tanto come strumento di informazione trasparente per il consumatore ma come strategia per orientarlo all’acquisto. Nella maggior parte dei casi infatti, se è citata la specie si tratta del “tonno pinna gialla”, identificato sul nostro mercato come il tonno “migliore”, anche se in realtà gli stock di questa specie sono al limite dello sfruttamento, minacciati da metodi di pesca distruttivi. Nulla ci viene detto invece sull’origine del tonno che è stato messo in scatola o su come è stato pescato.
Anche se non vi è un obbligo di legge, in altri Paesi europei le aziende, e soprattutto le più importanti catene di supermercati, hanno iniziato a rendere disponibili tali informazioni sulle proprie scatolette. È spontaneo chiedersi perché i principali marchi del nostro mercato (tra i maggiori al mondo) non lo stiano ancora facendo.
Cosa hanno da nascondere? Forse non sono in grado di garantire una piena tracciabilità dei propri
prodotti? O non vogliono farci sapere che ci fanno mangiare specie a rischio? Oppure che la pesca del tonno che finisce nelle loro scatolette, oltre a distruggere gli stock di tonno, causa l’uccisione ogni anno di migliaia di squali e tartarughe?
In assenza di informazioni, i consumatori italiani continuano a essere complici ignari della distruzione dei mari, senza avere la possibilità di scegliere.
Eppure fornire i dati in etichetta è possibile anche in Italia, se vi è la volontà dell’azienda a essere trasparente. Ne è una prova la nuova etichettatura dei prodotti AsdoMar che riporta il nome comune e scientifico della specie, l’area di pesca e il metodo utilizzato, anche se non specifica l’eventuale uso di FAD. È ora che anche le altre aziende si adeguino.
Tracciabilità, scelte sostenibili e trasparenza sono strettamente legate tra loro. La tracciabilità dei prodotti è il primo passo per un’azienda per sapere da dove arriva il proprio tonno (e come è stato pescato) e quindi per poter scegliere quale comprare. Il secondo è quello di adottare politiche di acquisto che la impegnano a utilizzare solo tonno pescato in maniera sostenibile. Una volta fatta questa scelta siamo sicuri che l’azienda avrà tutto da guadagnare nel comunicare tali informazioni ai propri clienti, senza dover più nascondere nulla.
L’alternativa esiste. Per salvare il tonno, bisogna: eliminare gli attrezzi pericolosi, preferendo tonno pescato in modo sostenibile, per esempio con amo e lenza o senza FAD;
evitare le specie a rischio, preferendo quelle meno sfruttate come il tonnetto striato (sempre assicurandoci che non venga pescato con i FAD); sostenere la creazione di riserve marine;
esigere una gestione sostenibile della pesca, che impedisca alle flotte di pescare troppo e senza regole; non comprare tonno di dubbia provenienza, per non incentivare il mercato della pesca illegale e/o distruttiva.
Cambiare è possibile. In Inghilterra tutti i più importanti marchi di tonno e le marche “private label” delle maggiori catene di supermercati hanno deciso di utilizzare solo tonno pescato con amo e lenza e senza FAD, trasformando il mercato britannico. In Italia non esiste ancora una scatoletta di tonno 100% sostenibile, e con così poche informazioni in etichetta è difficile per un consumatore attento alle problematiche ambientali orientarsi. Cosa stiamo aspettando?
È ora che anche in Italia l’industria del tonno e le grandi catene di distribuzione garantiscano piena tracciabilità e trasparenza ai propri consumatori, ripuliscano i loro prodotti da specie a rischio e si impegnino a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile. Solo in questo modo si potranno realizzare cambiamenti positivi anche in mare.
Greenpeace sta lavorando all’aggiornamento della classifica “Rompiscatole”. Ci auguriamo che il prossimo anno il consumatore italiano possa trovare sullo scaffale prodotti veramente trasparenti e sostenibili.
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