Perché l’Occidente post-moderno deve liquidare il concetto di famiglia?
Perché l'idea di "famiglia" è una realtà inadeguata al vivere sociale nell'era post-moderna? Perché l'organismo da cui ha origine ogni forma comunitaria e il fenomeno regolatore dell'ordine sociale di ogni epoca conosciuta risulta attualmente del tutto irrilevante ai fini dell'organizzazione collettiva tanto da venir minato dall'apparato politico-culturale Occidentale? tanto da essere inteso come una forma di resistenza, una barriera nei confronti della venuta del "progresso"?
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A tale proposito cercò di rispondere, attraverso gli strumenti e le soluzioni freudiane, il filosofo Herbert Marcuse (1898 – 1979) nel suo saggio Eros e civiltà. Partendo da un’analisi storica, già intrapresa da Freud, è necessario comprendere in che modo la famiglia tradizionale non rappresentò mai un organo perfetto, ma propriamente il luogo del conflitto edipico. Un luogo dunque dove le soggettività si scontrano, dove la figura paterna e autorevole influenza, assieme agli altri fattori istituzionali del principio di realtà, la creazione del Super-Io, quell’istanza intrapsichica che regola la vita morale dell’individuo e la adegua ai valori della società. Ogni generazione, dunque, si faceva latrice di un conflitto, una lotta contro il padre, a cui seguiva la relativa uccisione di questo. Ma questo conflitto, ci dice Marcuse, era frutto di una “storia” individuale, e la stessa formazione del Super-Io, ovvero la modificazione repressiva degli impulsi primordiali, divenne un’esperienza tipicamente personale. La famiglia era dunque il luogo di creazione (o repressione in vista di un adeguamento) della persona in seno alla società e, allo stesso tempo, il luogo attraverso cui l’individuo si libera e trasforma privatamente le regole ed i valori in un “destino individuale”. Questo fenomeno di individualizzazione è ben lontano dall’odierno individualismo.
Un cambiamento strutturale dell’attività economica ha tuttavia generato una regressione del ruolo della famiglia. Infatti una volta avvenuto il passaggio da capitalismo “libero” o famigliare e individuale, a capitalismo “organizzato”, le unità del sistema sociale furono assorbite da “gruppi e associazioni impersonali di proporzioni più vaste”. La post-modernità si viene dunque a caratterizzare da un governo monopolistico e centralizzato dell’economia, della politica e della cultura, cosicché la repressione degli istinti e la formazione del Super-Io, non sono più delegati alla famiglia, e vengono bensì subordinati, in maniera collettiva, ad un intero sistema di “fattori e influenze extra-famigliari”. L’istituzione famiglia non poté più competere con la televisione, il cinema, la radio, la pubblicità ed i diversi mezzi tecnici d’influenza delle masse: i nuovi canali di trasmissione di modelli, norme e valori. La conseguenza fu che il conflitto edipico, così come lo intese Freud, si spense, poiché il padre non meritò più di essere ucciso, e il figlio si erse sin da subito a rappresentante di una cultura nuova e già matura rispetto alle antiquate forme paterne: “il padre ha meno da offrire, quindi meno da proibire”. A punire ora sono i fenomeni sociali, quali l’esclusione dalla vita di gruppo, o l’impossibilità del riconoscimento e dell’accettazione. La post-modernità è un’epoca in cui i conflitti classici tra Es, Io e Super-Io si esprimono secondo dinamiche diverse.
La famiglia a questo punto diventa un organo di creazione di individualità, di insubordinazione nei confronti di una società totalizzante e spersonalizzata, e si pone in quanto alternativa alla centralizzazione delle “istituzioni repressive” che determinano, soddisfano e controllano i bisogni dell’individuo.
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