lunedì 10 marzo 2014

LASCIARE MORIRE CON DGNITA" SENZA ACANIMENTO MEDICO

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EUTANASIA LEGALE

L’eutanasia clandestina nel paese degli ipocriti

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Ogni anno, 2.000 suicidi e tentativi di suicidio e 20.000 “morti all’italiana” negli ospedali: una vera e propria strage degli innocenti. Martedì 18 marzo ne parleranno i parenti di Mario Monicelli, Carlo Lizzani e Michele Troilo: “costretti” al suicidio da un paese ipocrita.

di Carlo Troilo, Associazione Luca Coscioni

Il 18 marzo ricorre il decimo anniversario del suicidio di mio fratello Michele. Settantunenne, scapolo, malato terminale di leucemia, Michele – che avrebbe voluto l’eutanasia ed aveva anche iniziato a cercare un medico disposto ad aiutarlo – non tollerò la perdita di dignità legata al suo male e scelse di gettarsi nel vuoto dal quarto piano della sua casa di Roma: come faranno, anni dopo, Mario Monicelli e Carlo Lizzani. Da quel giorno tragico – dopo aver reso pubblico sulla stampa il dramma di mio fratello – mi sono battuto, nell’ambito della Associazione Luca Coscioni, per la legalizzazione della eutanasia.

Per questo il 18 marzo inizierò uno sciopero della fame con cui mi ripropongo di contribuire a scuotere il muro di silenzio sulla eutanasia, spingendo il Parlamento a discutere la proposta di legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione della eutanasia su cui l’Associazione Coscioni ha raccolto quasi 70 mila firme autenticate di cittadini.

Nello stesso giorno – alle 11,30, nella sede della Associazione in via di Torre Argentina 76 – terrò una conferenza stampa resa particolarmente importante dalla partecipazione, assieme a Mina Welby e Mario Riccio, di Chiara Rapaccini, compagna di Mario Monicelli fino alla sua morte, Luciana Castellina, per lunghi anni compagna di Lucio Magri e il figlio di Carlo Lizzani, Francesco: un “evento”, una protesta contro le leggi spietate che hanno costretto i nostri cari ad una morte atroce.

Le ragioni per le quali ritengo necessaria ed anche possibile la legalizzazione della eutanasia anche in Italia sonno molte. Ne ricordo tre:

- Non è accettabile che l’Italia resti, fra i grandi paesi europei, l’unico in cui non solo non si legalizza l’eutanasia ma nemmeno si accetta di discuterne
- In un paese in cui i veri cattolici sono una minoranza e il 60per cento dei cittadini è favorevole alla eutanasia, non è ammissibile che le forze politiche continuino a soggiacere ai diktat delle gerarchie ecclesiastiche
- Il tema non interessa più soltanto alcuni intellettuali “radical-chic” ma un numero rilevante e crescente di italiani

Su questo punto fornirò dei dati che ritengo sconvolgenti ma che sono praticamente ignorati dalla stampa, anche quella “progressista”:

- Secondo l’ISTAT ogni anno in Italia si verificano 1.000 suicidi e oltre 1.000 tentati suicidi di malati.
- Autorevoli ricerche (la più nota, quella del 2007 dell’Istituto Mario Negri) ci dicono che ogni anno 20.000 malati terminali vedono accelerata la loro fine a seguito dell’intervento attivo dei medici: una “morte all’italiana” (per non dire, come mi sembrerebbe lecito, di eutanasia clandestina).
Siamo dunque di fronte ad una vera e propria strage degli innocenti, ignorata dai media e dagli italiani, a cui dobbiamo dire basta.

E’ singolare il fatto che da quando ho reso noti sui giornali i dati sui suicidi, l’ISTAT ha cambiato i criteri di rilevazione degli stessi, eliminando dalle relative tabelle la voce “movente”, ed in tal modo rendendo le informazioni inutili per chi volesse capire le ragioni di un fenomeno così drammatico (i morti sul lavoro sono molti di meno), e in particolare capire se il suicidio è dovuto nella maggioranza dei casi alla malattia ed alla impossibilità di ottenere, con l’eutanasia, una “morte dignitosa”. Lo stesso è avvenuto per le ricerche sulla “morte all’italiana”: frequenti fino al 2007, non si sono più viste dopo le polemiche suscitate dalle mie “rivelazioni” sulla stampa. Come dice Andreotti, a pensar male…

Un altro tema che voglio sollevare con questa iniziativa è quello – che va discusso in vista di un auspicato esame parlamentare della proposta di legge – è quello degli “aventi titolo” alla eutanasia, problema che pongo soprattutto in considerazione della crescita esponenziale dei casi di Alzheimer nel nostro paese (un milione oggi, due milioni nel 2040, il flagello del secolo).

Abitualmente si pensa che l’eutanasia risponda alle esigenze e ai desideri dei malati terminali, per cui si tende a vedere solo o prevalentemente in loro gli “aventi titolo” all’eutanasia. Non è così. Mario Monicelli, Lucio Magri, Carlo Lizzani non erano “malati terminali”. Essi volevano morire perché ritenevano che la loro vita non fosse più degna di essere vissuta. E sono certo che anche mio fratello, che invece era malato terminale, non si è suicidato per questo. Michele, ormai, era rassegnato a non poter ottenere l’eutanasia, di cui era sempre stato un sostenitore, e anche ad attendere le poche settimane, se non i pochi giorni, che lo separavano dalla morte. Una sera però, appena rientrato dall’ospedale, ebbe un primo episodio di incontinenza. La sua badante dovette spogliarlo, lavarlo e metterlo a letto con un pannolone. Michele era un anziano scapolo, un uomo elegante, riservato, pudico. Non fu la malattia, ma l’idea di dover subire ancora quella umiliazione a spingerlo ad uscire sul terrazzo e a gettarsi nel vuoto. Perché per molti non ci può essere vita senza dignità. Lo dice anche la nostra Costituzione, a proposito di accanimento terapeutico, all’articolo 32: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Dovremo partire da qui per stabilire, nella legge che verrà, chi ha diritto alla eutanasia. E va detto fin dall’inizio del dibattito che legalizzare l’eutanasia solo per i malati terminali significherebbe negarla alla maggior parte delle persone che vorrebbero ottenerla perché ritengono la loro vita non più degna di essere vissuta. La difesa della dignità di ogni uomo dovrebbe dunque essere la stella polare di una legge sul fine vita, come di qualsiasi altra legge sui diritti civili.

(10 marzo 2014)

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