lunedì 13 aprile 2015

Pechino sta usando la sua crescente influenza economica per costruire un nuovo ordine economico


P. Sabucchi: "Pechino sta usando la sua crescente influenza economica per costruire un nuovo ordine economico mentre gli Usa restano fermi a Bretton Woods"
Lasciare la ribalta non è mai facile, scrive Paola Subacchi su Project Syndicate. Gli Stati Uniti, come molte celebrità sulla via del tramonto, fatica a dividere la scena mondiale con altri paesi, e soprattutto con la Cina. Gli incontri, nei prossimi giorni, del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale - due istituzioni dominate dagli Stati Uniti e dai loro alleati europei - offrono l’occasione per mutare tattica e approccio.
Ma perché questo accada, prosegue la Subacchi, gli Stati Uniti devono accettare il fatto che il mondo è cambiato. Negarlo non cambia le cose. Anzi, più a lungo gli Stati Uniti rimangono in uno stato di diniego, maggiore è il rischio di danneggiare gli interessi americani e l’influenza che l’America ancora esercita, seppure in misura limitata che in passato, sul resto del mondo.
Oggi il mondo non è più organizzato, come ai tempi della guerra fredda, in due blocchi congelati in una posizione cautamente ostile. Ma non è neppure il mondo della Pax Americana che aveva dominato il decennio successivo alla caduta dell’Unione Sovietica quando gli Stati Uniti si imposero come la sola super potenza.
L’economia mondiale fa oggi perno su un ordine multipolare che è quello emerso a seguito della crescita dei più importanti paesi in via di sviluppo, in particolare la Cina, e del loro crescente ruolo nel commercio e nella finanza internazionali. Gli Stati Uniti, come gli altri membri del G7, si trovano oggi a competere e a collaborare non solo con la Cina, ma anche con India, Brasile e altre economie emergenti attraverso gruppi informali come il G20.
Per questo gli Stati Uniti devono mostrare leadership e capacità di adattamento. Il rifiuto di sostenere gli sforzi della Cina per espandere la sua influenza nel sistema di governance globale rappresenta una reazione sterile e persino puerile. Allo stessa stregua gli Stati Uniti dovrebbe frenarsi dal fare pressione sui paesi nella loro sfera di influenza perché non sostengano le istanze cinesi, come è successo di recente quando la Gran Bretagna ha annunciato l’intenzione di aderire all’Asian Infrastructure Investment Bank, la nuova banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali promossa dalla Cina.
Sembra quasi che gli Stati Uniti siano rimasti fermi all’ordine economico mondiale sancito dalla conferenza di Bretton Woods e emerso dopo la seconda guerra mondiale - un ordine sostenuto dal Fondo e dal Banca mondiale e facente perno attorno al dollaro. A Bretton Woods venne istituzionalizzata la supremazia geo-politica degli Stati Uniti mentre venne degradata la Gran Bretagna, il potere imperiale pre-bellico, che però seppe ritirarsi dalla scena con buona grazia, se non con disperazione considerata la grave situazione economica in cui versava il paese nel dopoguerra.
Nel corso degli anni il sistema emerso a Bretton Woods, con il suo misto di multilateralismo e politiche liberiste, venne a simboleggiare l’influenza anglo-americana sull’economia mondiale, influenza che attualmente, soprattutto in seguito alla crisi finanziaria mondiale, attira critiche e ostilità in molti paesi. In particolare, il cosiddetto Washington consensus - l’insieme di principi liberisti che nel corso degli anni hanno influenzato le politiche economiche del Fondo e della Banca mondiale, ma anche degli Stati Uniti e della Gran Bretagna - ha creato parecchio risentimento, specialmente dopo la crisi finanziaria asiatica alla fine degli anni ’90.
Stando così le cose, non sorprende che la Cina stia usando la sua crescente influenza economica per costruire un nuovo ordine economico che limiti la supremazia del dollaro - e degli Stati Uniti. Zhou Xiaochuan, il governatore della Banca popolare cinese - la banca centrale - ha ripetutamente invitato i principali paesi membri del G20 a riformare il sistema monetario internazionale e orientarlo verso un uso più equilibrato delle principali monete - non solo il dollaro - per regolare i pagamenti internazionali. Il rischio e l’impatto di eventuali crisi di liquidità sarebbe così ridotto. Allo stesso tempo, secondo Zhou Xiaochuan, il sistema monetario internazionale verrebbe isolato dalle “condizioni economiche e dalle interessi nazionali di ciascun paese.”
Naturalmente la Cina ritiene che la sua moneta, il renminbi, un giorno possa aver un ruolo centrale nel nuovo, multi-valutario, sistema monetario e così riflettere non solo il fatto che la Cina è un motore della crescita economica mondiale, ma anche che è il maggior creditore. Inoltre la Cina è una delle grandi economie (le altre sono gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Giappone e l’eurozona) in grado di influenzare gli andamenti economici internazionali.
A partire dal 2009 il governo cinese ha messo a punto una serie di misure per incoraggiare l’uso del renminbi negli scambi regionali e in questo modo ridurre la dipendenza dal dollaro nel sistema dei pagamenti. Ma l’internazionalizzazione della moneta cinese è solo una prima tappa verso l’istituzionalizzazione di un ordine economico mondiale multipolare. La creazione di nuove organizzazioni multilaterali, dalla banca asiatica alla nuova banca di sviluppo, di cui la Cina è promotrice insieme agli altri maggiori paesi emergenti (Brasile, Russia, India e Sud Africa) è un altro passo verso un nuovo ordine globale.
Attraverso queste iniziative il governo cinese ha attirato l’attenzione sulla inadeguatezza dell’attuale sistema monetario internazionale, e della sua struttura istituzionale, rispetto alla complessa e multipolare economia mondiale. Viene inoltre messa in dubbio la capacità degli Stati Uniti di continuare a fornire la liquidità necessaria al sostegno del commercio e della finanza internazionali.
Naturalmente gli Stati Uniti hanno ragione a chiedere se il nuovo ordine mondiale verso il quale la Cina sta spingendo sarà aperto e basato su regole condivise quanto quello che dovrebbe rimpiazzare. Non dimentichiamo che è stato proprio l’ordine promosso e sostenuto dagli Stati Uniti che ha permesso alla Cina la sua straordinaria espansione economica. La risposta migliore è quindi coinvolgere la Cina nella riforma della governance economica mondiale, invece di ignorare l’inellutabilità del cambiamento in corso.
Se gli Stati Uniti si ostinano a perseguire una politica di contenimento della Cina - per esempio ostacolando la creazione della banca asiatica, lanciando continuamente accuse di manipolazione del tasso di cambio e rifiutando di ratificare la riforma delle quote del Fondo, che accrescerebbe l’influenza cinese - rischiano di perdere autorevolezza e quindi voce nelle decisioni future. Il risultato potrebbe essere un mondo frammentato in blocchi di influenza, e di governance, con la conseguenza di compromettere non solo la crescita economica, ma anche la cooperazione su problemi comuni.
Gli imminenti incontri del Fondo e della Banca mondiale sono dunque un’opportunità da non perdere per cambiare approccio nei confronti della Cina. E cosa potrebbe essere più credibile del sostegno degli Stati Uniti per l’inclusione del renminbi nel paniere di monete che il Fondo usa per determinare il valore dei diritti speciali di prelievo, la sua unità di conto? Sarebbe l’occasione per gli Stati Uniti per ritornare decisamente sotto le luci della ribalta.
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