domenica 12 aprile 2015

LA GARA DI PERSONAGGI PIU" INFAMI


CHI TROVA RENZI TROVA UN TESORETTO (E 64 MILIARDI DI TASSE IN PIÙ) – LA PRESSIONE FISCALE È PIÙ ALTA DI QUANDO C’ERA MONTI, E CON LE “CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA” IL GOVERNO DOVRà SPREMERE UNA MONTAGNA DI SOLDI
A Bruxelles non hanno affatto gradito l’annuncio degli 1,6 miliardi destinati a nuova spesa pubblica: i conti italiani sono sempre in rosso, e da qui al 2017 l’Italia dovrà trovare 64 miliardi per coprire i buchi – Iva, accise, tasse sulla casa: tutto crescerà. E passata la mancia elettorale, si tornerà a tirare la cinghia…
1. TASSE: SUPERATO MONTI
Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
Chi trova un amico trova un tesoro, chi trova Matteo Renzi invece trova un tesoretto, ma insieme al tesoretto trova anche la fregatura. Abbiamo già spiegato come il presidente del Consiglio abbia finanziato i famosi 80 euro. Gli 8,7 miliardi del bonus non vengono da un taglio dei costi dell’amministrazione statale e nemmeno da una riduzione delle pretese del fisco: arrivano da un aumento della spesa pubblica.
In poche parole, il capo del governo per vincere le elezioni europee e alimentare la sua immagine positiva ci ha indebitato ancora di più. Un po’ come quei consulenti finanziari che promettono tassi mirabolanti, ma che liquidano gli interessi con il capitale dei clienti. Certo, è bello avere 80 euro in tasca, ma se poi dobbiamo ripagare il regalo con un prelievo più salato sui nostri stipendi forse è meglio rinunciarvi.
Già, perché mentre il premier parla di una somma di 1,6 miliardi spuntata all’improvviso dalle pieghe del bilancio statale e dunque pronta all’uso in vista del voto per le regionali, i documenti ufficiali del ministero dell’Economia dicono altro. Per capire non servono studi approfonditi: è sufficiente dare uno sguardo alle tabelle che accompagnano il Documento di economia e finanza, ossia le previsioni del governo per quanto riguarda i conti pubblici. Prendiamo la pressione fiscale, cioè le tasse che pesano sul prodotto interno lordo.
Nel 2013, quando governava Letta, la percentuale delle imposte raggiunse il 43,4 per cento. Nel 2014, con Renzi a Palazzo Chigi, le tasse sono cresciute dello 0,1 per cento (lo dice l’Istat, lo certifica Mario Draghi) e dunque non c’è stata alcuna riduzione. Ma nel Def c’è di peggio. Nel 2016 la pressione fiscale arriverà al 44,1 per cento, ossia lo 0,6 in più rispetto al 2014 e nel 2017 farà il bis. Solo nel 2018 si vedrà una leggera riduzione (dello 0,1%), mentre nel 2019 il prelievo del fisco dovrebbe assestarsi al 43,7. Peggio di Mario Monti (43,5% nel 2012).
Tradotto, secondo il ministero dell’Economia non ci sarà nessuna riduzione delle tasse a medio termine, ma anzi ci sarà un forte aumento. Tanto per essere chiari, nel 2011, prima di Monti, prima di Letta e prima di Renzi, la pressione fiscale stava al 41,6 per cento, due punti e mezzo meno rispetto al picco previsto ora dal governo. In soldoni, i contribuenti pagheranno, da qui al 2017, 64,3 miliardi di tasse in più.
Del resto, nonostante le ottimistiche dichiarazioni del premier («Non ci sono tagli, non c’è aumento delle tasse»), non poteva che essere così. E per capirlo basta ripassare a memoria il numero di tasse introdotte da un governo che dice di averle abbassate. In un anno a Palazzo Chigi, Renzi ha aumentato le tasse sui conti correnti e sul capital gain e ha rincarato quelle sui fondi pensione. Cose che riguardano chi ha quattro soldi investiti o custoditi in banca penseranno in molti. Illusi: grazie alla fantasia al governo, l’Iva sui pellets è raddoppiata, le accise sulla benzina sono cresciute, le tasse sulla casa altrettanto.
Le imposte non hanno risparmiato né i terreni agricoli né gli impianti di risalita. Per non dire poi della Iuc, l’imposta unica comunale, che dietro all’acronimo nasconde altre tre tasse, ovvero l’Imu, la Tari e la Tasi, un caos fiscale che è sintetizzabile in una cifra: 200 mila aliquote. Tante ne ha infatti calcolate il professore Luca Antonini a proposito della Iuc, cifra che fa impazzire commercialisti e contribuenti alle prese ogni giorno con la complicazione fiscale.
Come se non bastasse il Fisco ha usato la mano pesante anche nei confronti dei turisti e già che c’erano, per far quadrare i conti dei comuni falcidiati dai tagli dei trasferimenti, i sindaci hanno deciso di introdurre un prelievo sui viaggiatori, che si paga imbarcandosi su un aereo o su un traghetto, con il risultato che sui biglietti alla fine graverà un salasso di almeno dieci euro a persona.

Senza dire poi dell’ultima novità, ovvero del rischio che per finanziare gli sgravi per chi assume venga introdotto un aumento dei contributi sui lavoratori già assunti. Ipotesi affacciata ieri dal Sole 24ore e smentita dal ministro del Lavoro Poletti. Ma si sa come vanno queste cose: le stangate non si annunciano, si danno. Del resto, non era Renzi che consigliava Letta di stare sereno? L’ex premier da quella stangata non si è ancora ripreso…
2. ALLA FACCIA DEL TESORETTO. IN TRE ANNI ARRIVERANNO 63 MILIARDI DI IMPOSTE
Antonio Signorini per “il Giornale”
Finirà come gli altri tesoretti italiani, spiegava una fonte tecnica della Commissione europea. I vari extragettiti o spazi di manovra che si creano nella contabilità pubblica battezzati con lo sfortunato «tesoretto» di solito svaniscono, lasciando a bocca asciutta tanti.
Inglobati nelle entrate dello Stato, magari a compensare altri buchi di bilancio creati dai tagli alla spesa pubblica, che in Italia sono più incerti della lotta all’evasione.
Se il premier Matteo Renzi ha deciso di destinare quegli 1,6 miliardi per fare nuova spesa pubblica, insomma, incontrerà non poche difficoltà da Bruxelles. Perché in ogni caso i nostri conti sono in rosso. Ma anche perché negli uffici della Commissione stanno cominciando a nutrire dubbi sui governi post 2011. Tante riforme annunciate, pochissimi risultati concreti sul fonte dei conti pubblici e, soprattutto, su quello della crescita. È anche colpa dell’Italia se in Europa si sta rafforzando il fronte di chi vorrebbe giudicare i governi sulla base delle riforme in vigore, non su quelle annunciate.
Meglio, quindi, non spendere niente più del dovuto. Quello 0,1% di Pil che si è liberato non è un bonus e potrebbe servire in seguito. Ad esempio per coprire eventuali fallimenti nei tagli alla spesa e a compensare riforme destinate a dare meno risultati del previsto. E viene subito in mente quella della pubblica amministrazione.
Nel Def, il Documento di economia e finanza approvato venerdì, è specificato che il bonus andrà utilizzato per «l’implementazione delle riforme strutturali già avviate». Formula nata nel ministero dell’Economia che sembra escludere l’idea del premier Matteo Renzi di usarla per estendere gli 80 euro alle famiglie incapienti.
Il governo, insomma, si muove ancora dentro limiti incerti, come emerge anche dalla versione definitiva del documento.
Una qualche forzatura sulla pressione fiscale che il governo non vorrebbe calcolare secondo le regole Ue. Renzi spera che gli 80 euro non siano più considerati una spesa, ma un taglio alle tasse. Per il 2015 il Def fornisce due dati. Quello che include il bonus e vede la pressione scendere dal 43,1% al 42,9% del Pil. E poi, quello ufficiale, che dà invece la pressione fiscale ferma al 43,5.
Per l’anno in corso è confermata la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia. Ma dal 2016 in poi è tutto da vedere. A bilancio restano gli effetti dell’aumento delle due aliquote Iva. Per disinnescarla serve una «manovra da 13 miliardi», come l’ha definita l’ex viceministro all’Economia Stefano Fassina, che il Def si ripropone di coprire con il «miglioramento del quadro macroeconomico ? che si riflette in un aumento del gettito ? e alla flessione della spesa per interessi» e poi alla spending review, che dovrà portare «un importo pari allo 0,6 per cento del Pil».
Sfida ancora più difficile per gli anni successivi. Nel 2017 ci sono 19 miliardi di nuove tasse, aumento dell’Iva e delle accise, da disinnescare, 22 miliardi nei due anni successivi. Sono circa 63 miliardi di tasse in tre anni. Una sfida difficile da vincere per il governo. La Reverse charge e lo split payment , nuovo metodo di pagamento dell’Iva che sta mettendo in difficoltà il commercio, porterà allo Stato circa 2,5 miliardi all’anno. Dalla tassazione dei fondi pensione, 450 milioni quest’anno e 480 all’anno dal 2016 al 2019.
Del Def fa parte anche il piano nazionale delle riforme. Nel menu e nell’agenda del governo non compare la riforma delle pensioni, in direzione di un alleggerimento della legge Fornero, annunciata più volte. Ma c’è, a sorpresa, la legge elettorale, con l’annuncio che sarà approvata definitivamente entro maggio 2015. Stranezza che ha creato malumore nel Pd. Alfredo D’Attorre, deputato democratico, derubrica l’annuncio ad «auspicio di Renzi». Perché la riforma elettorale è prerogativa del Parlamento. Di sicuro, non sarà sulla base di questa che ci giudicherà l’Europa.

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