mercoledì 21 agosto 2013

femminicidio

Femminicidio – Quello che non si può dire… Arriva come una urgenza di fine estate il decreto legge contro il femminicidio, durante una sessione straordinaria del parlamento non certo priva di inutili polemiche. Inutili come inutile è forse il conio di questo neologismo, femminicidio, una parola pessima, una sorta di redenzione linguistica, un modo inutile di chiedere scusa a tutte quelle donne che di violenza sono morte e, mi spiace dirlo, continueranno a morire. Non servono certo i neologismi per lavarsi la coscienza o farla lavare a una società, la violenza domestica, sulle donne, sui bambini o quella più comunemente definita di genere è un problema sociale, morale, umano che non risolveremo certo con questi decreti d’urgenza in sessioni parlamentari straordinarie e dispendiose. In quasi tre lustri di servizio, buona parte passati su una volante, le chiamate urgenti per violenza domestica sono tutt’ora quotidiane, un dramma sociale e culturale che forse è semplicistico portare in un’aula di tribunale. In tutti questi anni è cambiato enormemente il mio modo di approcciare al problema, da giovane agente la donna che si dichiarava vessata, picchiata, incapace di sottrarsi a una disumana violenza era a prescindere la vittima, colei che doveva essere tutelata e anche queste leggi, così ideologicamente urgenti, sembrano puntare a questo ossia a proteggere per partito preso tutte quelle vittime. Con gli anni e con l’esperienza però ti accorgi che coloro che si dichiarano vittime tante volte sono carnefici, persone che sfruttano quel concetto buonista che tende a tutelarle a prescindere senza mai capire le ragioni della violenza perché, è chiaro, la violenza non ha mai ragione e mai deve averne. Così che si tende a non dir quante donne inducono la violenza, che cercano la violenza, per avere un arma in più una querela che aiuta in una pratica di separazione coniugale o che sfruttano la prole non solo per ottenere 100 euro in più sugli alimenti ma per annientare quell’uomo che tanto le ha fatte soffrire. Uomini che perdono tutto, figli, mogli, casa… per cui non si può e non si deve giustificare la violenza… la cui disperazione però rimane spesse volte inascoltata, mai capita, giustamente condannata!! Sarebbe facile fraintendere queste parole come una giustificazione della violenza ma di quella vera, con lividi, botte e referti medici credetemi ve ne è tanta. Quelle chiamate disperate al 113, quelle corse dentro a quelle case dove donne, anche molte belle, portano i segni di quell’amore criminale fatto di alcol e droga, senza fine e senza senso. Quel senso che sembra ancora più assurdo quando quelle stesse donne con addosso quei lividi e quelle violenze, di fronte alla prospettiva di essere liberate, di poter usufruire di quelle strutture protette fatte a posta per loro ti dicono “NO!”, per un amore violento e sempre più spesso assassino. “Io lo amo, è il padre dei miei figli…io rimango qui” e non ti capaciti quale sia la logica di un amore così vissuto e così desiderato che un giorno vedrà quei figli sfogarsi nel medesimo modo perché non sottratti a certe scene per tempo. Mogli, mamme, amiche, amanti, figli, mariti, ex fidanzate/i tutti vittime di un sistema che crede di risolvere la questione dentro a un’ aula di tribunale e che invece necessiterebbe di meno criminalizzazione e più volontà di recupero di chi quella violenza la esercita a qualsiasi titolo. Femminicidio, omofobia, violenza di genere, declinazioni di un mondo che non si vuole scoperchiare davvero e che forse si preferisce romanzare senza volersi davvero prendere, come società, la responsabilità di una degenerazione che non sarà certamente risolta a colpi di carta bollata. Cerchiamo le vittime ma non le cause come se le vittime fossero necessarie, funzionali…ma a chi ? Troppa demagogia in questa ultima legge dal sapore tutto propagandistico, un aggravio di costi burocratico- amministrativi che nulla porterà in concreto e che ci farà parlare nuovamente, e con maggiore frustrazione, di quel femminicidio diventato semplicemente una battaglia ideologica di una politica incapace di scendere davvero tra i problemi della gente comune. Michele Rinelli – In Giacca Blu

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