Non a tutti è piaciuto il discorso di Obama all'Assemblea Generale dell'Onu, ma ancora meno, a quanto pare, piace l'attuale posizione degli Stati Uniti di fronte alla proposta di Putin di creare una vera e propria alleanza internazionale contro lo Stato Islamico, o Daesh che dir si voglia.
In una intervista esclusiva a Sputnik Italia il professore Manlio Dinucci, uno dei massimi esperti di cose militari in Italia, fa luce sulle dinamiche in atto in Siria rispetto alla posizione di Russia e Usa.
-Prof. Dinucci, come giudica il tentativo di Obama di rimettersi in primo piano dopo la mossa di Putin?
— Considero davvero grottesco il tentativo del presidente americano di ergersi come il paladino della lotta contro l'Isis. Ci sono prove documentate, fornite anche dal New York Yimes, che la CIA e il Pentagono hanno armato e addestrato forze estremiste islamiche prima per rovesciare Gheddafi e poi trasferendole in Siria per demolire il governo e il regime di Bashar al-Assad. Quello che è accaduto negli ultimi tre anni in Siria, distruzione e morte, è il risultato delle scelte americane, in primo luogo. Senza dimenticare che, nel maggio 2013 il senatore USA McCaine incontrava in Turchia colui che sarebbe divenuto il califfo dello Stato Islamico, il cosiddetto Al Baghdadi. E' un tentativo propagandistico per perseguire la stessa politica. Visto che non sono riusciti a rovesciare il governo di Damasco, adesso ci riprovano fingendo di combattere l'Isis, ma sotto la condizione che, prima, Bashar al-Assad dovrà andarsene.
-Mosca ha bruscamente accelerato il passo. Cosa significa?
— La velocità, oltre all'energia, con cui Mosca sta affrontando la situazione suona per me come un campanello d'allarme generale. Essa non è dovuta solo alla situazione in Siria. E' l'effetto di un'offensiva che è stata messa in moto dagli Stati Uniti e che è partita dall'Ucraina, per coinvolgere il fronte medio-orientale. E' uno sviluppo preoccupante. Ho l'impressione che a Mosca si siano resi conto che non bastano le azioni diplomatiche di fronte all'uso spregiudicato della forza militare, di pressioni e di manovre sotterranee che caratterizzano in questa fase la politica degli Stati Uniti e della Nato. La decisione della Duma, di usare anche il proprio peso militare, indica la necessità di elevare la risposta russa a questo livello, naturalmente d'accordo con il governo siriano. Ho l'impressione che a Washington non si aspettassero questa reazione russa. Sono abituati a mettere gli altri di fronte alle loro azioni e iniziative, di fronte a fatti compiuti. Sono sempre stati loro a muovere le pedine sulla scacchiera, lasciando agli altri il compito di commentare gli sviluppi. Adesso la Russia, che ha riguadagnato un ruolo internazionale evidente, ha posto un "alt" a questo stato di cose. E mi sembra che questo "alt" non concerne soltanto la Siria, bensì un avvertimento generale innalzato a riguardo degli Stati Uniti.
-Lei pensa che Obama sia disposto a collaborare con la Russia? E con l'Iran?
— In qualche modo è costretto a prendere atto della nuova situazione. Ma è evidente che non gradisce affatto. Collaborare significherebbe cambiare politica e non mi pare che intenda farlo. Continua a fingere di combattere Daesh, ma sappiamo bene che in questi anni la Nato, attraverso vari canali, in primo luogo attraverso la Turchia, ha rifornito di armi e di tutte le tecnologie necessarie i miliziani del Califfato, mentre Arabia Saudita e emirati vari del Golfo hanno fornito il supporto finanziario. E' stata ed è una politica concordata in ambito Nato. Tutti questi protagonisti, che agiscono sotto l'ala americana, hanno un unico obiettivo strategico che è quello della demolizione dello Stato siriano e dell'abbattimento di Bashar al-Assad. In realtà, l'obiettivo è quello di ridisegnare la mappa del Medio Oriente nel suo complesso. Non rinunceranno a questo obiettivo se non saranno costretti a farlo.
-Dunque sarà un intervento armato a decidere la crisi attorno alla Siria?
— Mi auguro di no. Non credo che Putin la pensi in questo modo. La Russia, intervenendo con le sue armi e la sua aviazione, intende costringere USA e Nato a un tavolo negoziale. E può darsi che ci riesca, se non altro dissuadendo alcuni Paesi europei dal seguire servilmente le decisioni del Pentagono. Ma Putin si trova di fronte non a una serie di atti scoordinati, bensì a una strategia consapevole. Quella che numerosi analisti americani e occidentali non esitano ormai a definire come la strategia del caos. Pensano in questo modo di paralizzare tutti gli altri. In realtà, ne siano consapevoli o meno, questa strategia non si ferma al caos. Il caos crea la guerra. Loro lo sanno, e infatti si preparano alla guerra. Bisogna fermarli.
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