L’ORDINE DE GIORNALISTI SI ADEGUA A KYENGE E BOLDRINI E, COME NELLE FEROCI DITTATURE, CONSIGLIA QUALI PAROLE USARE E QUALI NO. LA PENA? PERDERE IL LAVORO!
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Anche se la Treccani indica come significato del termine proprio quello (“colui che entra in un paese illegalmente”) al posto di quel sostantivo denigratorio vanno usati vocaboli più rispettosi, come “migrante irregolare”, “richiedente asilo”, “rifugiato”…
Chi entra clandestinamente in Italia non va chiamato clandestino, potrebbe restarci male. Anche se la Treccani indica come significato del termine proprio quello («colui che entra in un paese illegalmente») vanno preferiti, al posto di quel sostantivo denigratorio, vocaboli più rispettosi, come «migrante irregolare», o «richiedente asilo», «rifugiato», «beneficiario di protezione umanitaria», «vittima della tratta», «migrante», o nel caso «migrante irregolare», tutti più adeguati.
Non clandestini, ma diversamente regolari. Un clandestino viene fermato dalla polizia con pistola e proiettili (fatto di cronaca successo giovedì ad Ancona)? Non è corretto titolare «Clandestino arrestato», ma va invece scritto «migrante irregolare» oppure «richiedente asilo fermato con pistola e proiettili». «Un extracomunitario scippa la borsetta con 700 euro a signora di 70 anni» (successo l’altro giorno a Reggio Emilia)? È preferibile non scrivere così, meglio «Un migrante scippa la borsetta», o anche «Un beneficiario di protezione umanitaria scippa una settantenne». Anche l’immigrazione ha il suo vocabolario certificato ed eticamente approvato, in questo caso dall’organo che vigila (solo in Italia e pochi altri paesi al mondo) sul comportamento e sulle opinioni dei giornalisti, l’Ordine dei giornalisti. Da qualche anno l’Ordine, in sinergia con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (quello che aveva Laura Boldrini come sua portavoce), ha stabilito un «Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti», con allegato un glossario delle parole da usare e una spiegazione su quelle da non usare più perché razziste. Regole che, se violate, possono costare un procedimento disciplinare per un giornalista, un processino che può concludersi anche con la sospensione, o in casi estremi con la radiazione. Insomma c’è poco da scherzare per chi di mestiere scrive.
Con quel protocollo l’Ordine, e il sindacato dei giornalisti Fnsi, si impegnano a «promuovere periodicamente seminari di studio sulla rappresentazione di richiedenti asilo, rifugiati, vittime di tratta e migranti nell’informazione, sia stampata che radiofonica e televisiva», a «monitorare» l’informazione quando parla di migranti, a premiare gli articoli più migrantemente corretti. Ma non solo, spiega come bisogna scrivere. «Lo stesso termine extracomunitario può non essere appropriato – si legge nella circolare dell’Odg -, chiediamoci, ad esempio, per quale motivo non viene mai utilizzato negli episodi di cronaca che riguardano statunitensi o australiani o canadesi (che pure sono extracomunitari), ma sempre quando i protagonisti delle cronache sono di provenienza africana. Devono essere evitate espressioni che hanno valenza dispregiativa come ad esempio Vu’ cumprà. Anche il termine clandestino può avere valenza negativa e ingenerare allarme sociale, risultando perciò improprio: molti dei migranti fuggono da guerre e rivoluzioni e, più che clandestini, sono richiedenti asilo per motivi umanitari o di sicurezza».
Non ci vuole molto per finire sotto procedimento. Due colleghi dell’Unione sarda sono stati sanzionati dall’Ordine per un articolo sull’assegnazione di case a famiglie rom da parte del Comune di Cagliari nel 2012. Dopo un esposto dell’«Associazione sarda contro l’Emarginazione» l’Ordine ha aperto il procedimento e concluso che era stata violato il protocollo deontologico su migranti e minoranze: censura e avvertimento. L’Ordine invita proprio a non usare il termine «zingaro», perchè è «stigmatizzante» e discrimina i nomadi. Anzi, nemmeno «nomadi» va usato, perché si riferisce a popolazione che spesso non sono più nomadi, ma stanziali, e finisce con il ghettizzarli linguisticamente. Rom? Nemmeno, l’Ordine lo sconsiglia vivamente, a meno che non si conosca con precisione il loro ceppo, perché potrebbero essere Sinti, oppure Camminanti, e non Rom. E allora, un accampamento di zingari come si può chiamare? Ci si può recare lì e chiedere se si tratti di Rom o piuttosto di Sinti o Camminanti, e annotare la risposta del capo della baraccopoli. Oppure optare per «Romanì», con l’accento sulla «i» finale. Sempre che non si dia adito a confusione con «Romeni», perché non c’entrano e poi si finisce col discriminare loro. In alternativa, nell’imbarazzo, si può restituire il tesserino dell’Ordine.
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FONTE:
http://www.ilgiornale.it/news/politica/lordine-dei-giornalisti-censura-anche-parole-vietato-dire-1047738.html
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