domenica 25 agosto 2013

NON SI FANNO MISSIONI DI PACE INVADENDO CON LE ARMI DI DISTRUZIONE BUGIE

CommentaDenunciaNon diciamo 'missioni di pace'di Gianluca Di FeoNel luglio '93 a Mogadiscio l'esercito italiano ingaggiò una gigantesca battaglia, per la prima volta dal '45. Da allora abbiamo bombardato la Serbia e il Kosovo, combattuto in Iraq e Afghanistan, sganciato bombe sulla Libia. Senza mai avere il coraggio di usare la parola 'guerra'(05 luglio 2013)L'ipocrisia sulle missioni di pace italiane è caduta venti anni esatti fa. Il 2 luglio 1993 nelle strade di Mogadiscio i nostri soldati finirono in una grande trappola. Dietro le donne e i bambini che protestavano contro le truppe straniere spuntarono kalashinikov e razzi. Fu una vera battaglia, con i tank e le mitragliatrici che sparavano senza sosta. Le immagini drammatiche di quei combattimenti - che potete vedere nel video realizzato da History Channel - mostrano l'orrore delle raffiche sparate tra la folla. C'erano soldati di leva che non avevano mai fatto fuoco prima e dovevano usare le armi contro le case. E ufficiali che li minacciavano per obbligarli a travolgere le barricate e portare in salvo i compagni feriti. Insomma: era la guerra. Oggi quello scontro che costò la vita a tre italiani e a molte decine di somali è stato ricordato solo da una cerimonia dei parà appena tornati a Mogadiscio, in una città che sta faticosamente ricominciando a vivere dopo venti anni di orrore. I paracadutisti fanno parte di un contingente che sta addestrando le truppe del fragile governo di transizione, nel tentativo di riportare un minimo d'ordine in un paese devastato. Ma l'anniversario della battaglia del check point Pasta - perché cominciata davanti alle rovine della fabbrica coloniale di spaghetti - dovrebbe servire per una riflessione di tutto il Paese, nel momento in cui le spese militari sono al centro del dibattito politico. Dal 1993 i governi, sempre con il sostegno del parlamento, hanno ordinato tante altre volte alle forze armate di eseguire missioni belliche. L'Italia ha bombardato i serbi in Bosnia e in Kosovo, con raid aerei che si sono spinti fino alla periferia di Belgrado. Ha combattuto in Iraq, nell'inutile e sanguinosa spedizione di Nassiriya. Lo scorso anno ha attaccato l'esercito di Gheddafi in Libia, sganciando 710 tra bombe e missili. E tutte le settimane i soldati si scontrano con i talebani in Afghanistan. La parola "guerra" però è rimasta un tabù. Nella discussioni sulla necessità o meno di destinare decine di miliardi per gli F-35 e altri armamenti, sarebbe ora che il governo cominciasse anche a raccontare apertamente ai parlamentari e ai cittadini cosa fanno ogni giorno i nostri militari al fronte. Cancellando gli eufemismi e le acrobazie verbali che da venti anni continuano a nascondere la verità agli italiani.

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