venerdì 2 agosto 2013

le multinazionali

LE MULTINAZIONALI CHE SI GIOCANO GLI STATI

Già all’inizio del XX secolo, due economisti come J.B. e J.M. Clark potevano constatare le gigantesche fusioni che si stavano realizzando nel mondo degli affari, con il risultato di veri e propri “dinosauri”. Nel 1913, un economista e industriale della statura di Walter Rathenau poteva dire che “trecento uomini che si conoscono tutti personalmente dirigono i destini economici dell’Europa e scelgono tra di loro i successori”. La differenza con oggi è che i 300 si sono ridotti, in Europa, a 50... Le concentrazioni hanno riconfigurato il capitale, negli Stati Uniti come in Francia, Regno Unito, Germania, Giappone, fino a creare un vero e proprio “universo concentrazionario”. Basta pensare che in questi paesi risiede il 90% delle 200 prime società del pianeta. Queste 200 società ricoprono praticamente tutte le attività umane, dall’industria all’agricoltura alle banche, fino ai servizi finanziari, leciti o illeciti (distinzione ormai non più così semplice). Un tratto che caratterizza queste grandi società è la loro fusione, in vista di “prede” sempre più grandi. Per farsene un’idea, basta pensare che in un decennio sono state realizzate fusioni per qualcosa come 20.000 miliardi dollari, cioè due volte e mezzo il prodotto interno lordo (PIL) degli Stati Uniti. Emerge chiaramente la prevalenza schiacciante dei colossi americani, che rappresentano il 71,8% del totale mondiale delle capitalizzazioni borsistiche delle prime 50 imprese. È poco corrispondente alla realtà parlare economia di mercato in condizioni simili. In realtà, si può dire piuttosto che “globalizzazione” sia una mitologia per nascondere le dimensioni del potere schiacciante delle multinazionali. È significativo anche che i 200 colossi mondiali siano distribuiti geograficamente negli stessi sei paesi in cui sono distribuiti i 50 primi colossi in termini di capitalizzazione borsistica (USA, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera). Un altro dato significativo è che la cifra d’affari dei 200 colossi è superiore al PIL dell’insieme dei paesi che non sono membri dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Un altro fattore problematico è costituito dalle somme gigantesche che “drogano” le borse e che provengono dall’indebitamento (di imprese e stati), sottoposto a una crescita esponenziale annuale del 6,2%: un vero e proprio vulcano che può sfuggire al controllo in ogni momento. Le politiche tenute da questi colossi scherzano tuttavia con il fuoco: il “calo dei costi” e la “creazione di valore” significano, in pratica, la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Questo spiega la rinnovata combattività dei salariati.

(per questi dati, si può vedere http://www.monde-diplomatique.fr/

http://www.stpauls.it/pj-online/RUBRICHE/focus-on/2001/lugl2001/focus-luglio2001d.htm
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