lunedì 12 agosto 2013

alla faccia del popolo

E intanto aumenta lo stipendio dei magistrati: 8.000 euro all’anno in più 12 02 maggio, 2013 | Permalink | Archiviato in: Italia, Politica ed Economia toghe-rosseGli stipendi di magistrati ed alti dirigenti non si possono tagliare. E’ incostituzionale. Così aveva stabilito la Corte Costituzionale, così ha recepito, ubbidendo, il governo Monti prima di passare il testimone al nuovo esecutivo presieduto da Enrico Letta. In virtù di questo, un magistrato che nel 2011 guadagnava 174.000 euro annui potrà ora guadagnarne 182.000, 8.000 in più in tempi di crisi. Con buona pace del governo Berlusconi e dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti che nel 2010 aveva disposto, vista la situazione di emergenza per le casse statali, un blocco dell’aumento del 5% per i 5 anni successivi, fino al 2015. Era il decreto legge 78 del 31 maggio 2010, “Misure urgenti in materia di stabilità finanziaria e di competitività economica”. L’articolo 9, “Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico”, così recita al comma 22: 22. Per il personale di cui alla legge n. 27/1981 non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012; per tale personale, per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per l’anno 2014 e’ pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014. (( Per il predetto personale l’indennità speciale di cui all’articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, è ridotta del 15 per cento per l’anno 2011, del 25 per cento per l’anno 2012 e del 32 per cento per l’anno 2013. Tale riduzione non opera ai fini previdenziali. Nei confronti del predetto personale non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 21, secondo e terzo periodo. )) Niente aumento degli stipendi dei magistrati per 5 anni. C’è crisi, bisogna ridurre le spese del pubblico impiego. Nei sogni, forse! Non sia mai. Con la sentenza numero 23 dell’11 ottobre 2012, la Corte Costituzionale ha bocciato l’intero comma. Pubblichiamo alcuni stralci della sentenza: 11.6.— Il meccanismo di adeguamento delle retribuzioni dei magistrati può, dunque, a certe condizioni essere sottoposto per legge a limitazioni, in particolare quando gli interventi che incidono su di esso siano collocati in un quadro di analoghi sacrifici imposti sia al pubblico impiego (attraverso il blocco della contrattazione – sulla base della quale l’ISTAT calcola l’aumento medio da applicare), sia a tutti i cittadini, attraverso correlative misure, anche di carattere fiscale. Allorquando la gravità della situazione economica e la previsione del suo superamento non prima dell’arco di tempo considerato impongano un intervento sugli adeguamenti stipendiali, anche in un contesto di generale raffreddamento delle dinamiche retributive del pubblico impiego, tale intervento non potrebbe sospendere le garanzie stipendiali oltre il periodo reso necessario dalle esigenze di riequilibrio di bilancio. Nel caso di specie, i ricordati limiti tracciati dalla giurisprudenza di questa Corte risultano irragionevolmente oltrepassati. (…) Inoltre, l’intervento normativo in questione non solo copre potenzialmente un arco di tempo superiore alle individuate esigenze di bilancio, ma soltanto apparentemente è limitato nel tempo (…). In tale contesto, il fatto che i magistrati, in quanto esclusi dalla possibilità di interloquire in sede contrattuale, si giovino degli aumenti contrattuali soltanto con un triennio di ritardo, salva la previsione di acconti, non può consentire di arrecare esclusivamente ad essi un ulteriore pregiudizio, consistente non soltanto nella mancata progressione relativa al triennio precedente, ma anche conseguente all’impossibilità di giovarsi di quella che la contrattazione nel pubblico impiego potrebbe raggiungere oltre il triennio di blocco. In questo senso, l’intervento normativo censurato, oltre a superare i limiti costituzionali indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, che collocava in ambito estremo una misura incidente su un solo anno, travalica l’effetto finanziario voluto, trasformando un meccanismo di guarentigia in motivo di irragionevole discriminazione. (…) Per altro verso, poi, trattandosi di una componente del trattamento economico collegata ai principi di autonomia ed indipendenza della magistratura, la sua riduzione, in sé, in aggiunta alla mancata rivalutazione, determinerebbe un ulteriore vulnus della Costituzione (…) Inoltre, la misura denunciata neppure ha modificato l’istituto dell’indennità giudiziaria, perché alla temporanea diminuzione di alcuni punti percentuali della entità di tale indennità non corrisponde, come sopra precisato, né la correlativa riduzione degli obblighi e prestazioni previdenziali, né la riduzione dei carichi lavorativi che l’indennità è diretta a compensare. Infine, l’assenza di una espressa indicazione della destinazione delle maggiori risorse conseguite dallo Stato non esclude che siano destinate a sovvenire pubbliche spese, e, in particolare, a stabilizzare la finanza pubblica, trattandosi di un usuale comportamento del legislatore quello di non prevedere, per i proventi delle imposte, una destinazione diversa dal generico “concorso alle pubbliche spese” desumibile dall’art. 53 Cost. Nella specie, tale destinazione si desume anche dal titolo stesso del decreto-legge: «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», in coerenza con le finalità generali delle imposte (…). La legge è uguale per tutti, ma ridurre gli stipendi dei magistrati senza indicare la destinazione delle risorse generate dal “risparmio” e senza diminuire i carichi di lavoro è anti-costituzionale, anche in tempi di crisi. Rischierebbe persino di mettere in crisi “autonomia e indipendenza della magistratura”. Nonché costituirebbe una “irragionevole discriminazione”. Non si toccano, quindi, gli stipendi dei giudici. Il governo Monti non ha potuto far altro che recepire quanto stabilito dalla Consulta, dando il via libera all’aumento degli stipendi in questo 2013. E rendendolo retroattivo anche per il 2012. Questo mentre intere categorie di lavoratori hanno i contratti nazionali bloccati da anni. Come riporta oggi Libero Quotidiano, i magistrati, in più, hanno diritto ad “un’indennità giudiziaria” come “compenso all’attività di supplenza alle gravi lacune organizzative dell’apparato della giustizia”. Tale indennità corrisponde ad 1/6 dello stipendio. Perché riformare la giustizia e renderla più efficiente, anche per i cittadini? Meglio “risarcire” i magistrati, tutti, anche quelli che non lavorano in condizioni disagiate, per il disturbo. di Riccardo Ghezzi © 2013 Qe

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