1. BANCO POPOLARE +21%, UBI +15%, BPER +24%, POP MILANO +21% E LA POPOLARE ETRURIA, LA BANCA CHE HA COME VICEPRESIDENTE IL PAPÀ DEL MINISTRO BOSCHI, ADDIRITTURA +66% –
2. IMMEDIATAMENTE ALLA VIGILIA DEL “BLITZ” SULLE BANCHE POPOLARI VOLUTO DA RENZI IL 20 GENNAIO, C’È CHI HA FATTO IL FURBO DA LONDRA E HA GUADAGNATO MOLTI SOLDI –
3. C’È UNA PRIMA RICOSTRUZIONE DEL FATTACCIO. LA BOZZA DEL DECRETO ERA AL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO E UNA MANINA L’HA FATTA USCIRE IL 13 GENNAIO QUANDO A ROMA MOLTI LOBBISTI CE L’AVEVANO. E ORA ANCHE LA CONSOB VUOLE VEDERCI CHIARO –
4. AI BEN INTRODOTTI BASTAVA ANDARE ALLE PAGINE 22 E 23 PER TROVARE LA SVOLTA SULLE BANCHE POPOLARI. E DUE GIORNI DOPO SONO PARTITI GLI ACQUISTI A MAN BASSA IN BORSA – 5. SI È FATTO UN DECRETO. FORSE PER NON DELUDERE CHI ORMAI CI AVEVA PUNTATO MILIARDI? -
DAGOREPORT
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E adesso sono tutti – auguri! – alla caccia della gola profonda: quella che ha spifferato in giro la riforma delle banche popolari, facendo fare un sacco di soldi agli speculatori. Tanti soldi, eh. Ma proprio tanti. State tranquilli, la Consob ha acceso il suo faro. M5S e Adusbef, Assopopolari e il ministro Lupi stanno facendo il diavolo a otto. E come dargli torto?
Già prima dell’approvazione del dl Investment Compact il 20 gennaio, come segnalava Gerevini sul Corsera, «alcuni soggetti con base a Londra» avevano «creato posizioni anche rilevanti in azioni delle banche popolari». E tra le banche che hanno maggiormente beneficiato delle speculazioni londinesi (il Banco Popolare ha avuto un balzo del 21%, Ubi del 15, la Popolare Emilia del 24 e Banca Popolare di Milano del 21), «lo scatto più spettacolare è quello della Popolare Etruria e Lazio di cui è vicepresidente Pier Luigi Boschi, il padre del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi».
Secondo il Fatto quotidiano, tenetevi forte, «in quattro giorni la Banca Popolare dell’ Etruria ha registrato un balzo del 66 per cento, nonostante i ripetuti stop alla negoziazione per eccesso di rialzo, mettendo fine così ad anni di profonde difficoltà che l’hanno portata sull’orlo del commissariamento. Nel gennaio 2010, un’azione valeva 10,69 euro, mentre il 12 gennaio scorso ha registrato il minimo storico: 0,358 euro».
E’ tutto chiaro?
Insomma: qualcuno ha passato in giro la notizia della riforma favorendo un sacco di operatori finanziari che hanno base a Londra – come l’amico del cuore di Renzi, il finanziere Davide Serra con il suo fondo Algebris – e beneficiando soprattutto la banca dove lavorano il padre e il fratello della ministra Boschi. E chi è quel qualcuno? si chiede giustamente Gerevini. «Come si è sviluppato l’iter tecnico che ha portato al varo di quel testo? Per quante mani è passato? Raramente un provvedimento legislativo ha avuto un impatto così immediato e violento su una parte del listino. E mentre la norma prendeva forma, a Londra qualcuno preparava le munizioni per la grande speculazione.»
In attesa che il faro acceso dalla Consob faccia un po’ di luce su tante questioni fondamentali, dai corridoi del Mise ci arriva qualche notizia interessante. C’è una caccia in corso, dicevamo, che è particolarmente spietata, visto che le nuove «Norme in materia di banche popolari», e dunque la gola profonda che le ha spifferate, sono nate proprio lì. Attenzione, però: all’inizio le norme bancarie non facevano parte dell’Investment Compact ma del ddl Concorrenza. Ed entrambi i testi avrebbero dovuto andare in Consiglio dei Ministri il 20 gennaio.
Bene. A scrivere, a blindare, a covare il ddl Concorrenza con grandissima gelosia era il gabinetto del ministro dello sviluppo economico, e in particolare colui che Federica Guidi ha confermato come capo della sua segreteria tecnica: Stefano Firpo. Firpo non è un uomo della Guidi, ma di Passera: è un quarantenne torinese e brillante, un ex London School of Economics che è stato l’ombra di Passera in Intesa San Paolo per molti anni e che è arrivato a Roma nel 2011, quando a Passera hanno affidato il Mise col governo Monti. Al Mise è rimasto con Flavio Zanonato. Oggi lavora con la Guidi.
Cambiano i ministri ma ormai è lui, dicono, la vera eminenza grigia del palazzo. Proprio Firpo ha partorito il decreto Destinazione Italia e i decreti Crescita 1 e 2, si è occupato di start-up, di agenda digitale, di Fondo centrale di garanzia e pagamenti della Pa. Non solo: ha curato, attenzione, anche i rapporti del ministero col Fondo monetario e la Bce, con la World Bank e con l’Abi, l’associazione delle banche italiane.
Insomma, è uno che di banche – e di banchieri – mastica parecchio, proprio come il suo mentore Passera, che il 31 gennaio a Roma presenterà un’Italia Unica che ai temi bancari è particolarmente sensibile. Quindi non poteva non sapere, il nostro Firpo, che la riforma delle popolari che stava scrivendo per Renzi sarebbe stata «altamente price sensitive», con effetti clamorosi a Piazza Affari.
Dicono al Mise che, infatti, il testo era blindatissimo. Così blindato che al Mef non ne sapevano nulla, e il buon Pier Carlo Padoan, benchè ministro dell’Economia, dormiva, sull’argomento, molti sonni profondi e tranquilli.
La blindatura era tale e tanta che le pochissime bozze distribuite ai piani altissimi del ministero guidato (si fa per dire) dalla Guidi erano “tracciate”, cioè erano state contraddistinte ognuna con qualche particolare differente, in modo da poter identificare a colpo sicuro la fonte di un’eventuale fuga di notizie.
Com’è possibile, allora, che molti lobbisti della capitale ne avessero già una bozza a disposizione il 13 gennaio? Ai ben introdotti bastava andare alle pagine 22 e 23 per trovare le nuove norme sulle popolari e sulle fondazioni bancarie, e poi muoversi sul mercato di conseguenza. L’hanno fatto.
Giovedì 15 gennaio, infatti, cominciavano gli acquisti da Londra. Venerdì 16 per le banche popolari era già allarme rosso. Lunedì 19, verso sera, Renzi annunciava ai senatori Pd che con l’Investment compact avrebbe trasformato le popolari in società per azioni. Il 20 gennaio il CdM approvava il decreto.
E la storia al momento finisce qui.
Lasciando a noi miseri parecchi dubbi che non hanno ancora risposta. Per esempio: chi, al Mise, ha fatto uscire la bozza? E’ già stata identificata la copia tracciata, e dunque la mano che l’ha ricevuta e distribuita? A chi l’ha data? E non è, forse, che la distribuzione a tanti beneficiari, sia pure molto selezionati, serviva a coprire qualche operazione più mirata e massiccia?
D’accordo, siamo incontentabili. Ma vorremmo sapere anche qualcos’altro. Per esempio: perché Palazzo Chigi ha spostato le norme sulle banche popolari dal ddl Concorrenza al dl Investment Compact? Forse il Concorrenza era in ritardo. Forse non sarebbe arrivato in Consiglio dei Ministri il 20 gennaio. Forse. E così infatti è stato. Ma perchè le banche, diteci, non potevano aspettare? Perchè è stato necessario fare questo po’ po’ di blitz? Matteo, rassicuraci. Non è perché i giochi, a Londra, erano già stati fatti, e per qualcuno era venuto il momento di passare all’incasso? No, vero?