Armando Spedicato II ha condiviso la foto di Mauro Merlino.
IL DRAMMA DI UNA MAMMA: “CRISTIAN URLA 15 ORE AL GIORNO, DITEMI CHE COS’HA”
http://luciogiordano.wordpress.com/2014/03/05/il-dramma-di-cristian-e-di-suamamma-maria-rita/
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A QUESTO DOBBIAMO ARRIVARE PUR DI FARCI ASCOLTARE!!E' UNA VERGOGNA!
VIDEO: http://youtu.be/DT9m-3E0r1U
DI FRANCESCA LAGATTA
Cristian è un ragazzino di 15 anni, alto, moro ed in perfetta salute. E’ il secondo di tre fratelli, con i quali vive in un paesino della Sardegna.
E’ un giorno come tanti quando esce di casa per raggiungere la sala giochi poco distante; ad attenderlo ci sono i suoi amici che purtroppo, però, quel pomeriggio non lo vedranno mai arrivare. Durante il tragitto, poche centinaia di metri, Cristian inspiegabilmente si accascia a terra. I presenti allertano i soccorsi ma come spesso ci racconta la cronaca, arrivano quando è già troppo tardi. Una miocardite dice il responso: il cuore di Cristian cessa di battere.
L’arresto cardiaco ha impedito l’ossigenazione al cervello per diversi minuti e pare che non ci sia più nulla da fare. Ma quando i sanitari avvertono mamma Maria, comunicandole la più dolorosa delle notizie, pochi istanti dopo il cuore di suo figlio riprende a battere. Ma la gioia dura poco. I danni provocati dal ritardo dei soccorsi sono ormai irreversibili e per il quindicenne la condanna è pesantissima: Cristian vivrà in stato vegetativo. Il miracolo non è bastato a rimettere le cose a posto, e da quel momento le vite di madre e figlio diventano un inferno.
A raccontarmi questa storia è proprio la mamma di Cristian, Maria Rita Lo Verso, che mentre parla di quel pomeriggio di dieci anni fa, lascia trasparire tutta la sua disperazione.
Ha bisogno di urlare il suo dolore, continuo e lacerante. I tagli alla sanità lo hanno privato di tutti i servizi sanitari dei quali usufruiva. La riabilitazione motoria concessa dall’Asl si è ridotta a pochi minuti a settimana, un quarto d’ora ogni tre giorni, mentre il logopedista non c’è neanche più. Mamma Maria Rita deve pagare di tasca sua se vuole riabilitarlo, ma deve pagare anche visite e medicine costosissime. “Da dove prendo tutti questi soldi per curare mio figlio, devo andare a rubare?” , mi chiede con tono di voce spezzato dalla rabbia. Ma questa non è l’unica cosa sconcertante che c’è da sapere.
Mi mostra un video. E’ Cristian ripreso nel suo letto, mentre si contorce dolorante. “In pochi minuti si ritrova in un bagno di sudore, sono costretta a cambiargli la maglietta anche quindici volte al giorno”. Ma quando la signora Lo Verso si trova al cospetto dei medici ai quali chiede di sapere cosa’ha suo figlio, quasi sempre si sente rispondere che si tratta di epilessia. E ogni volta lei va su tutte le furie.
Le crisi epilettiche non durano quindici ore, lo sa bene, e quando lei lo fa presente al dottore di turno, quasi sempre le lasciano intendere che è inutile agitarsi e che quella è l’unica diagnosi alla quale appellarsi, che le piaccia o no. Altrimenti che lo butti suo figlio, in fin dei conti per la sanità è solo un peso. “E dove lo dovrei buttare mio figlio? E perché? Non è forse un essere umano? No, mi spiace, io non smetto di lottare per lui”, dice con piglio da guerriera.
Io a queste parole taccio, qualsiasi frase sarebbe inutile e fuori e luogo. Penso che rimanere indifferenti significherebbe diventare complici di un abbandono istituzionale al quale noi, invece, vorremmo poter mettere fine.
“Cosa posso fare per te?”, chiedo a questa donna, che nonostante la sua rabbia continua con fare materno a rendermi partecipe del suo triste destino. “Voglio che tu diffonda la storia di Cristian affinché altre mamme come me prendano il coraggio di uscire dal silenzio e di pretendere che i nostri figli vengano curati. Voglio dire loro che non devono rassegnarsi e che unite possiamo cambiare le cose. Dobbiamo almeno provarci.”
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DI FRANCESCA LAGATTA
Cristian è un ragazzino di 15 anni, alto, moro ed in perfetta salute. E’ il secondo di tre fratelli, con i quali vive in un paesino della Sardegna.
E’ un giorno come tanti quando esce di casa per raggiungere la sala giochi poco distante; ad attenderlo ci sono i suoi amici che purtroppo, però, quel pomeriggio non lo vedranno mai arrivare. Durante il tragitto, poche centinaia di metri, Cristian inspiegabilmente si accascia a terra. I presenti allertano i soccorsi ma come spesso ci racconta la cronaca, arrivano quando è già troppo tardi. Una miocardite dice il responso: il cuore di Cristian cessa di battere.
L’arresto cardiaco ha impedito l’ossigenazione al cervello per diversi minuti e pare che non ci sia più nulla da fare. Ma quando i sanitari avvertono mamma Maria, comunicandole la più dolorosa delle notizie, pochi istanti dopo il cuore di suo figlio riprende a battere. Ma la gioia dura poco. I danni provocati dal ritardo dei soccorsi sono ormai irreversibili e per il quindicenne la condanna è pesantissima: Cristian vivrà in stato vegetativo. Il miracolo non è bastato a rimettere le cose a posto, e da quel momento le vite di madre e figlio diventano un inferno.
A raccontarmi questa storia è proprio la mamma di Cristian, Maria Rita Lo Verso, che mentre parla di quel pomeriggio di dieci anni fa, lascia trasparire tutta la sua disperazione.
Ha bisogno di urlare il suo dolore, continuo e lacerante. I tagli alla sanità lo hanno privato di tutti i servizi sanitari dei quali usufruiva. La riabilitazione motoria concessa dall’Asl si è ridotta a pochi minuti a settimana, un quarto d’ora ogni tre giorni, mentre il logopedista non c’è neanche più. Mamma Maria Rita deve pagare di tasca sua se vuole riabilitarlo, ma deve pagare anche visite e medicine costosissime. “Da dove prendo tutti questi soldi per curare mio figlio, devo andare a rubare?” , mi chiede con tono di voce spezzato dalla rabbia. Ma questa non è l’unica cosa sconcertante che c’è da sapere.
Mi mostra un video. E’ Cristian ripreso nel suo letto, mentre si contorce dolorante. “In pochi minuti si ritrova in un bagno di sudore, sono costretta a cambiargli la maglietta anche quindici volte al giorno”. Ma quando la signora Lo Verso si trova al cospetto dei medici ai quali chiede di sapere cosa’ha suo figlio, quasi sempre si sente rispondere che si tratta di epilessia. E ogni volta lei va su tutte le furie.
Le crisi epilettiche non durano quindici ore, lo sa bene, e quando lei lo fa presente al dottore di turno, quasi sempre le lasciano intendere che è inutile agitarsi e che quella è l’unica diagnosi alla quale appellarsi, che le piaccia o no. Altrimenti che lo butti suo figlio, in fin dei conti per la sanità è solo un peso. “E dove lo dovrei buttare mio figlio? E perché? Non è forse un essere umano? No, mi spiace, io non smetto di lottare per lui”, dice con piglio da guerriera.
Io a queste parole taccio, qualsiasi frase sarebbe inutile e fuori e luogo. Penso che rimanere indifferenti significherebbe diventare complici di un abbandono istituzionale al quale noi, invece, vorremmo poter mettere fine.
“Cosa posso fare per te?”, chiedo a questa donna, che nonostante la sua rabbia continua con fare materno a rendermi partecipe del suo triste destino. “Voglio che tu diffonda la storia di Cristian affinché altre mamme come me prendano il coraggio di uscire dal silenzio e di pretendere che i nostri figli vengano curati. Voglio dire loro che non devono rassegnarsi e che unite possiamo cambiare le cose. Dobbiamo almeno provarci.”
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