Oncologia: tanta paura per tumori che tumori non sono!! |
Scritto da Dr Francesco Perugini Billi | |||
Venerdì 08 Novembre 2013 08:50 | |||
Tuttavia, anche le imprese condotte nelle migliori intenzioni possono sfuggire di mano. Secondo autorevoli patologi, la maggioranza, se non la totalità, di queste piccole neoformazioni, che con sempre più frequenza vengono scoperte, in realtà non sarebbero affatto tumori, cioè non sarebbero soggette a progredire verso forme cancerose e aggressive.
Il problema è che un numero crescente di persone una volta fatta diagnosi di “tumore” non solo viene poi sottoposta a chirurgia, radioterapia e farmaci, ma rimangono anche gravemente condizionate da quella fatidica diagnosi di “tumore” per il resto della loro esistenza, con pericolose conseguenze sul loro equilibrio psichico.
I dati scientifici mostrano che lo screening di massa e le terapie farmacologiche messe in atto precocemente funzionano abbastanza bene nel caso del tumore della cervice uterina e probabilmente anche in quello del colon. Per quanto riguarda i tumori del polmone è ancora presto per trarre conclusioni, mentre questo tipo di approccio si è dimostrato piuttosto fallimentare nel caso dei tumori dell'ovaio, della pelle (melanoma), della mammella e della prostata.
Lo specialista anatomopatologo non è assolutamente in grado di prevedere come una singola cellula cancerosa potrà comportarsi, ma dopo anni di ricerche si è in grado predire quale tipo di lesione è pericolosa e quale invece avrà un andamento indolente e quindi innocuo (1).
Il Dr G. D. Lunderberg, anatomopatologo americano di lunga esperienza, in un intervento su Medscape International Medicine definisce queste neoformazioni diagnosticate come tumori, ma che tumori non saranno mai, come “indolentomi”. “Scoprire e trattare queste neoformazioni dà il 100% di guarigione nella popolazione, non scoprirli e non trattarli darebbe la stessa percentuale”, afferma senza esitazioni il Dr Lunderberg. (1).
La proposta di eminenti studiosi del National Cancer Institute è quella di smettere di etichettare queste lesioni con il termine “tumore”, anche se poi la diagnosi viene per così dire addolcita da qualificazioni come “in situ”, “precoce”, “precancerosa” o “preso in tempo”, perché comunque la reazione del paziente sarò sempre la stessa e il desiderio di farselo togliere non cambierà.
I dati americani mostrano che in questi ultimi 30 anni c'è stato un notevole aumento nella scoperta di questi tumori “precoci” e si stima che oltre 1,3 milioni di donne americane abbiamo ricevuto la diagnosi di un tumore che non si sarebbe mai sviluppato come tale (2). Per altro, gli screening di massa non hanno inciso gran che sulla riduzione del numero dei tumori più grandi e aggressivi e sulla mortalità dovuta a questi tumori (3).
Viene il sospetto che i “successi” dell'oncologia nei confronti di questi tumori possano essere fortemente condizionati dalla quota di non-tumori scoperti con sempre maggiore frequenza: questi indolentomi gonfiano oltremodo le statistiche relative alle “guarigioni” dei pazienti generalmente classificati come “tumorali”. La domanda quindi sorge spontanea: quante vite sono state salvate e quante esistenze invece rovinate?
Bibliografia
1) George D. Lundberg, MD Cancer? Not! Medscape Internal Medicine > George Lundberg: At Large at MedscapeAugust 29, 2013
2) Archie Bleyer, M.D., and H. Gilbert Welch, M.D., M.P.H. Effect of Three Decades of Screening Mammography on Breast-Cancer Incidence. N Engl J Med 2012; 367:1998-2005November 22, 2012
3) Laura J. Esserman, MD, MBA1; Ian M. Thompson, Jr, MD2; Brian Reid, MD, PhD3. Overdiagnosis and Overtreatment in CancerAn Opportunity for Improvement JAMA. 2013;310(8):797-798.
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