«L'Europa deve puntare sulla crescita sostenibile. Negli ultimi 30 anni, lo sviluppo è avvenuto soprattutto grazie all'aumento della spesa pubblica e dei consumi interni. Ora, per riprendere a crescere nell'era della globalizzazione, bisogna essere competitivi a livello globale. La crisi dell'euro è stata arginata dalla provvidenziale azione della Bce che, con una serie di interventi, ha concesso tempo ai Governi per varare le riforme necessarie a rendere più competitivi i Paesi dell'Ue. Ora è urgente procedere verso una maggiore integrazione europea, soprattutto sul fronte dell'energia e dei sistemi finanziari con l'Unione Bancaria come pilastro fondamentale. Non bisogna perdere tempo se si vuol tornare a competere con le economie dei Paesi emergenti e soprattutto con gli Usa, che hanno ripreso a crescere e che beneficeranno in futuro delle nuovi fonti di energia». Non è pessimista, neanche sull'Italia («l'essenziale è che il vostro Paese non faccia dietrofront sulle riforme e mantenga basso il costo del debito pubblico»), Frédéric Oudéa, il 50enne presidente e amministratore delegato di Société Générale, in questa intervista a Il Sole 24 Ore, fa il punto sull'evoluzione della crisi finanziaria ed economica approfittando del tour di due giorni che lo ha portato a incontrare, insieme al chief country officer per l'Italia Patrizia Micucci, i vertici delle istituzioni e del sistema imprenditoriale e bancario italiano. Monsieur Oudéa, negli Usa l'economia è in ripresa mentre in Europa il Pil langue. Colpa della politica di austerity imposta dalla Germania negli ultimi anni? «L'Europa ha pagato e sta pagando lacune strutturali che il Vecchio Continente non ha affrontato per anni. Le tendenze demografiche imponevano riforme del sistema pensionistico che i Governi hanno varato solo negli ultimi anni. Così come tutti sapevamo che bisognava migliorare i livelli di efficienza delle pubbliche amministrazioni e dei contratti di lavoro. Queste riforme non sono interesse di un singolo Paese ma dell'intera Europa se davvero vogliamo provare a essere competitivi come area euro nel mondo globalizzato». Secondo Oudea, le riforme strutturali sono decisive e andranno implementate con determinazione nel breve periodo. Molto è stato già fatto, altro resta da fare. «L'essenziale è che nessun Paese, Italia compresa, dia l'impressione di voler tornare indietro, sarebbe un errore imperdonabile». Ma ora che i singoli Paesi dell'Ue si stanno «ristrutturando», sottolinea il presidente e amministratore delegato di SocGen, «tocca all'Europa dare forti segnali di maggiore coordinamento». Come? «Se si vuole ristabilire fiducia nell'area euro, occorre una definitiva integrazione, in particolare nei settori dell'energia e dei mercati finanziari. Con l'Unione Bancaria che rappresenta il pilastro fondamentale se si vuole che il credito torni a finanziare con equilibrio tutte le economie dell'Eurozona». Sì, ma anche sull'Unione Bancaria l'impressione è che sia la Germania a frenare e ritardare il processo di unificazione. «Spero che dopo le elezioni tedesche di settembre si possa procedere velocemente nell'armonizzazione delle regole europee. Sul fronte dell'economia si vedono segnali di stabilizzazione ed è importante non sprecare la fiducia sull'euro riacquistata con fatica. Quanto all'Unione Bancaria, è evidente che in ogni Paese europeo esistono interessi che tendono a frenare. Ma chi crede nell'Europa sa che si tratta di un traguardo decisivo. Superare la frammentazione dei diversi sistemi bancari è indispensabile se vogliamo davvero competere con le banche Usa. Aggiungo - sostiene con convinzione Oudéa - che l'Unione Bancaria va definita con urgenza perché serve a far ritrovare fiducia nel sistema bancario europeo e, soprattutto, a garantire adeguati flussi di finanziamento all'economia reale nei diversi Paesi dell'Eurozona per far ripartire la crescita, a partire da quelli periferici come Spagna, Italia e Portogallo che risentono del divario degli spread rispetto alla Germania». In attesa che l'Unione Bancaria giunga a compimento, resta un periodo di transizione - non si sa quanto lungo - dominato dal credit crunch dovuto al deleverage imposto alle banche dall'innalzamento delle nuove regole sul capitale, che sono state considerevolmente rafforzate dall'inizio della crisi. Come uscirne? La Bce può varare nuovi interventi? «La Bce guidata dal presidente Mario Draghi ha svolto un grandissimo lavoro in questi anni per ridare fiducia nell'Eurozona. Con una serie di provvedimenti ha concesso ai Governi dei vari Paesi il tempo necessario a varare le riforme strutturali necessarie a riportare la fiducia sull'Europa. Ma ora non vedo quali altri interventi si possano chiedere alla Bce. I tassi sono già sui livelli minimi, e non credo sia una buona idea portare i tassi sui depositi a livelli negativi. Non è così che torna la fiducia. Ora tocca all'Europa accelerare sull'integrazione e ai singoli Paesi procedere con velocità». Per incoraggiare il finanziamento dell'economia il Governo francese ha varato un provvedimento che farà arrivare alle banche circa 30 miliardi dalla Caisse des Depots per finanziare le imprese e medie e piccole. È un'iniziativa replicabile anche in Italia? «Non credo, perché si tratta solo del rimedio a un'anomalia che si era creata in Francia. Si tratta dei cosiddetti Livres A, depositi finanziari a breve con tassi decisi dal Governo e tax-free. Si tratta di prodotti molto attraenti per i risparmiatori, raccolti dalle banche ma gestiti dalla Caisse des Depots e des Consignation da destinare al social housing che ha impieghi nel lungo termine. Il Governo francese aveva innalzato il tetto massimo di raccolta, c'è stato un afflusso significativo di risorse, però congelate nel medio termine, per cui ha dovuto riconoscere questa distorsione e ha "acconsentito" di ritrasferire quei fondi alle banche per finanziare le aziende». La Francia ha anche varato, tra i primi in Europa, una riforma del sistema bancario che somiglia in qualche modo ai princìpi della Volcker Rule americana: separare le attività di trading da quelle di banca commerciale. «Si tratta di una buona riforma, condivisa dalle banche perchè non intacca il modello di banca universale che resta fondamentale se vogliamo competere con le grandi banche Usa. La separazione delle attività riguarda solo il trading proprietario, che non ha legami con i clienti, e che giustamente non deve essere più finanziato con i capitali che invece servono per il resto delle attività. Credo che sia una riforma che serve a ridare fiducia al mercato. Ma è essenziale che né in Francia né in Europa si pongano limiti alle attività di capital market e di corporate e investment banking. Se vogliamo grandi banche europee che sostengano i sistemi industriali e l'economia reale, non possiamo separare quei business dalle attività retail». È ipotizzabile che in Europa si riapra la fase delle aggregazioni cross-border nel settore bancario? «Oggi la priorità per ogni banca è quella di lavorare al proprio interno per riorganizzarsi e pensare a incrementare la redditività. Tra due-tre anni, se e quando l'Unione Bancaria avrà determinato un mercato davvero unico con un unico regolatore, credo che un nuovo processo di aggregazioni sarà inevitabile per creare grandi gruppi continentali in grado di competere con le maggiori banche mondiali». Il gruppo Société Générale ha un'importante presenza in Italia. Continuerete a investire nel nostro Paese? «Sicuramente sì. Abbiamo posizioni di rilievo in settori come il corporate investment banking, il credito al consumo, i servizi di custodia titoli, leasing e factoring, che servono tra l'altro i maggiori gruppi industriali italiani. E abbiamo ottime relazioni col sistema bancario e assicurativo italiano. Siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti e puntiamo a investire ancora. Garantendo alle imprese e alle istituzioni finanziarie italiane l'accesso ai mercati dei capitali internazionali e, soprattutto, sostenendo lo sviluppo del loro business in particolare nelle aree in cui siamo presenti, dalla Cina alla Russia, dall'America all'Africa». Investirete malgrado il rischio-Italia? «Non credo che si possa parlare di una specifica situazione di crisi italiana. Noi prevediamo un progressivo miglioramento dell'economia in Europa, e questo coinvolgerà anche l'Italia, a partire dal 2014. L'essenziale è che il Governo italiano porti avanti il processo già avviato di riforme strutturali, come quella sulle pensioni. È decisivo che il Paese non dia mai l'impressione di voler interrompere questo percorso. Ciò sarà determinante per tenere bassi i tassi di interesse, questione fondamentale per un Paese che ha un debito pubblico così elevato».